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Ogni individuo, anzitutto chi è ultimo, non è un numero, ma una persona, unica e irripetibile

Ogni individuo, anzitutto chi è ultimo, non è un numero, ma una persona, unica e irripetibile

DISCORSO DI PAPA FRANCESCO

ALL’ASSOCIAZIONE CATTOLICA OPERATORI SANITARI (ACOS)

Cari fratelli e sorelle!

Saluto tutti voi, membri dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari, in particolare il vostro Presidente, che ringrazio per le sue parole – ha detto che mi vuole bene, che voi mi volete bene: questo mi fa bene! E saluto anche il Consulente ecclesiastico. Sono lieto di incontrarvi e di condividere con voi l’intento di difendere e promuovere la vita, a partire da coloro che sono più indifesi o bisognosi di assistenza perché malati, o anziani, o emarginati, o perché si affacciano all’esistenza e chiedono di essere accolti e accuditi. A tutti costoro, in diversi modi, voi prestate un servizio insostituibile ogni volta che, come operatori sanitari, offrite loro le cure di cui hanno bisogno o la vicinanza che li sostiene nella loro fragilità.

Il ricordo del 40° anniversario di fondazione dell’ACOS ci spinge a ringraziare il Signore per ciò che avete ricevuto dall’Associazione e per quanto vi ha concesso di operare in questo tempo per il miglioramento del sistema sanitario e delle condizioni di lavoro di tutti gli operatori sanitari, oltre che per la condizione dei malati e dei loro familiari, i quali sono i primi destinatari del vostro impegno.

Negli ultimi decenni, il sistema di assistenza e di cura si è trasformato radicalmente, e con esso sono mutati anche il modo di intendere la medicina e il rapporto stesso con il malato. La tecnologia ha raggiunto traguardi sensazionali e insperati e ha aperto la strada a nuove tecniche di diagnosi e di cura, ponendo però in modo sempre più forte problemi di carattere etico. Infatti, molti ritengono che qualunque possibilità offerta dalla tecnica sia di per sé moralmente attuabile, ma, in realtà, di ogni pratica medica o intervento sull’essere umano si deve prima valutare con attenzione se rispetti effettivamente la vita e la dignità umana. La pratica dell’obiezione di coscienza – oggi la si mette in discussione –, nei casi estremi in cui sia messa in pericolo l’integrità della vita umana, si basa quindi sulla personale esigenza di non agire in modo difforme dal proprio convincimento etico, ma rappresenta anche un segno per l’ambiente sanitario nel quale ci si trova, oltre che nei confronti dei pazienti stessi e delle loro famiglie.

La scelta dell’obiezione, tuttavia, quando necessaria, va compiuta con rispetto, perché non diventi motivo di disprezzo o di orgoglio ciò che deve essere fatto con umiltà, per non generare in chi vi osserva un uguale disprezzo, che impedirebbe di comprendere le vere motivazioni che ci spingono. È bene invece cercare sempre il dialogo, soprattutto con coloro che hanno posizioni diverse, mettendosi in ascolto del loro punto di vista e cercando di trasmettere il vostro, non come chi sale in cattedra, ma come chi cerca il vero bene delle persone. Farsi compagni di viaggio di chi ci sta accanto, in particolare degli ultimi, dei più dimenticati, degli esclusi: questo è il miglior modo per comprendere a fondo e con verità le diverse situazioni e il bene morale che vi è implicato.

Questa è anche la via per rendere la migliore testimonianza al Vangelo, che getta sulla persona la luce potente che dal Signore Gesù continua a proiettarsi su ogni essere umano. Proprio l’umanità di Cristo è il tesoro inesauribile e la scuola più grande, dalla quale continuamente imparare. Con i suoi gesti e le sue parole, Egli ci ha fatto sentire il tocco e la voce di Dio e ci ha insegnato che ogni individuo, anzitutto chi è ultimo, non è un numero, ma una persona, unica e irripetibile.

Proprio lo sforzo di trattare i malati come persone, e non come numeri, deve essere compiuto nel nostro tempo e tenendo conto della forma che il sistema sanitario ha progressivamente assunto.

La sua aziendalizzazione, che ha posto in primo piano le esigenze di riduzione dei costi e

razionalizzazione dei servizi, ha mutato a fondo l’approccio alla malattia e al malato stesso, con una preferenza per l’efficienza che non di rado ha posto in secondo piano l’attenzione alla persona, la quale ha l’esigenza di essere capita, ascoltata e accompagnata, tanto quanto ha bisogno di una corretta diagnosi e di una cura efficace.

La guarigione, tra l’altro, passa non solo dal corpo ma anche dallo spirito, dalla capacità di

ritrovare fiducia e di reagire; per cui il malato non può essere trattato come una macchina, né il sistema sanitario, pubblico o privato, può concepirsi come una catena di montaggio. Le persone non sono mai uguali fra loro, vanno capite e curate una per una, come fa Dio: Dio fa così. Questo esige ovviamente da parte degli operatori sanitari un notevole impegno, che spesso non è compreso e apprezzato a sufficienza.

La cura che prestate ai malati, così impegnativa e coinvolgente, esige che ci si prenda cura anche di voi. Infatti, in un ambiente dove il malato diventa un numero, anche voi rischiate di diventarlo e di essere “bruciati” da turni di lavoro troppo duri, dallo stress delle urgenze o dall’impatto emotivo.

È quindi importante che gli operatori sanitari abbiano tutele adeguate nel loro lavoro, ricevano il giusto riconoscimento per i compiti che svolgono e possano fruire degli strumenti adatti per essere sempre motivati e formati.

Proprio quello della formazione è un obiettivo che la vostra Associazione da sempre persegue, e vi invito a portarlo avanti con determinazione, in un momento nel quale spesso si perdono di vista i valori più basilari del rispetto e della tutela della vita di tutti. La formazione che proponete sia non solo confronto, studio e aggiornamento, ma ponga una particolare cura alla spiritualità, in modo che sia riscoperta e apprezzata questa dimensione fondamentale della persona, spesso trascurata nel nostro tempo ma così importante, soprattutto per chi vive la malattia o è vicino a chi soffre.

Vi incoraggio, fratelli e sorelle, anche a valorizzare sempre l’esperienza associativa, affrontando con nuovo slancio le sfide che vi attendono negli ambiti che insieme abbiamo considerato. Una buona sinergia tra le sedi regionali farà in modo che le forze dei singoli e dei vari gruppi locali non restino isolate ma siano coordinate e si moltiplichino.

Per mantenere sempre vivo il vostro spirito, vi esorto ad essere fedeli alla preghiera e a nutrirvi della Parola di Dio: sempre con il Vangelo in tasca, sempre a portata di mano: cinque minuti, si legge, così che entri in noi la Parola di Dio. Vi ispiri l’esempio di costanza e dedizione dei santi: tanti, tra loro, hanno servito con amore e disinteresse proprio i malati, specialmente i più abbandonati. Riguardo al Vangelo in tasca, ho letto il racconto di un missionario – forse lo conoscete, è vero –, di una persona credo dell’Amazzonia, indigena, che portava sempre il Vangelo in tasca. Era analfabeta, non sapeva leggere, ma portava il Vangelo in tasca, tutto rovinato dai tanti anni in cui lo portava. E una volta il missionario gli ha chiesto: “Come mai porti il Vangelo se non sai leggere?” – “È vero, io non so leggere, ma Dio sa parlare!”. Quella consapevolezza che in quel Libro c’è la Parola di Dio, che ci parla, sempre. Sempre con il Vangelo in tasca.

Cari amici, vi accompagno con la mia preghiera in questo prezioso compito di testimonianza. Vi affido al Cuore Immacolato di Maria, al quale la vostra Associazione è consacrata. Esso, che in modo limpido ha praticato l’accoglienza e la carità, resti sempre per noi rifugio nella fatica e modello di servizio ai fratelli. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me, e andate avanti.

Grazie!

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