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Genova – Sognare e creare insieme

Genova – Sognare e creare insieme

Il progetto “Sognare e creare insieme” nasce dall’incontro fra alcuni Operatori Socio Sanitari e gli ospiti del Suor Plautilla.

L’incontrare è scorgere la persona e la sua vita oltre la patologia. Ogni persona ha un proprio volto, un nome, una propria storia, una sua affettività, e le aspettative che porta con sé sono peculiari, perché legate in maniera indissolubile al suo “essere e al suo essere stato”.

L’incontrare è il non fermarsi ai gesti, ad una attività, ma attraverso l’attività e quel che si compie, esprimere prossimità.

 

Questa che leggerete è la testimonianza di Marco un operatore socio sanitario di Genova del Piccolo Cottolengo Don Orione.

 

L’idea di un progetto che fosse un’occasione di incontro e di conseguenza di maggior integrazione per le ospiti, era già nata in me lo scorso anno, quando decisi di dedicare maggior tempo a Giancarla, Luisa, Giuseppina e Annamaria, condividendo con loro momenti e attività nelle quali potessero vivere e sperimentare con grande soddisfazione la creazione di disegni e immagini.

Il disegno, già da tempo, faceva parte delle loro passioni ma, osservandole, mi ero accorto come ciascuna di loro, con le proprie caratteristiche, soffrisse di alcuni automatismi e particolari stereotipie, che andavano ad inficiare la realizzazione del tratto, l’uso della matita e del pastello, l’applicazione del colore, limitandone di conseguenza la capacità e la possibilità di esprimersi attraverso una attività che rappresentava uno strumento con il quale comunicare le loro fantasie, ma anche i loro pensieri e i propri vissuti.

Cercai allora, di dare più spazio ai loro desideri, dando vita a un laboratorio fatto di momenti in cui nel “lavorare insieme” diventasse sperimentabile uno “stare accanto”, costruendo pian piano attraverso delle attività manuali, grafico-pittoriche, una relazione significativa con ciascun ospite, fatta di fiducia reciproca, riconoscimento delle proprie capacità e del proprio valore.

Iniziai con la pittura a tempera su ardesia e su tela, constatando durante gli incontri che Giancarla, Luisa, Giuseppina, Annamaria e Santina mettevano pienamente in gioco loro stesse dentro alle immagini e ai colori: in ogni pennellata emergevano la loro individualità, le loro caratteristiche peculiari; alcune amavano esprimersi con più enfasi, altre con maggior mitezza.

C’era chi amava di più il tema del mare o la natura dei fiori, chi, come nel caso di Luisa, utilizzava il disegno e la pittura per esprimere e ritrovare nello stesso tempo ciò che ha più a cuore, ossia i legami affettivi, umani, quelli famigliari che spesso le mancano.

Il laboratorio si dimostrava inoltre uno strumento utile per cercare di utilizzare al meglio le stereotipie, incanalare i loro automatismi in funzioni e azioni più utili, rafforzando così il significato del loro agire, dando vita a un qualcosa che potesse essere fonte di maggior soddisfazione.

Ciascun ospite si ritrovava coinvolto, sperimentando attraverso l’attività creativa una realizzazione personale all’interno del gruppo di appartenenza, vivendo meglio la propria integrazione.

Quando all’inizio di quest’anno Giuseppe P. mi propose di comporre alcune scenografie per lo spettacolo “Appunti di felicità”, pensai subito a dei temi che, sia in fase di realizzazione e in seguito come risultato scenico, fossero la testimonianza tangibile di un incontro, prima vissuto e poi scolpito nei disegni a tempera e a pastello tra operatori e ospiti.

Uno dei temi principali è il mare: il mare può rappresentare l’inizio di un viaggio, di un percorso di vita, il mistero della vita stessa, l’incalcolabile e l’infinito.

Pensai ad un mare che potesse essere immaginato, tradotto e visto in verticale, senza alcun limite appartenente al senso visivo, una rappresentazione dove potesse essere possibile vedere e gustare senza limite alcuno il cielo, le onde, l’acqua che si infrange e si riempie di spuma, ma anche l’acqua che è sotto la superficie, il mondo marino, i pesci, i coralli, il fondale, le luci riflesse che arrivano dal cielo.

Questa possibilità di guardare appartiene alla fantasia e all’immaginazione. L’immaginazione è qualcosa di innato in ciascuno di noi ed è perciò totalmente condivisibile con ogni persona.

L’immaginazione può così annullare ogni distanza tra normodotato e persona affetta da disabilità, permette di “sognare e creare insieme” operatori ed ospiti, a prescindere dalle nostre capacità di guardare più o meno lontano, a prescindere perciò dalle nostre abilità.

Il sogno, l’immaginare qualcosa di bello che ci appartiene, che piace e nello stesso tempo diverte, permette un incontro che è una convivenza felice e costruttiva, è un “crescere insieme” dentro a una attività, è condividere e gustare lo sviluppo e la crescita di un qualcosa che si crea insieme, guardando nella stessa direzione: è un sognare che diventa realtà visiva e tangibile attraverso la pittura e il disegno.

 

A questo progetto hanno aderito due miei colleghi di lavoro, Alessandra e Daniele, i quali con la loro dedizione e ingegno hanno fornito un contributo prezioso alla realizzazione dell’intero lavoro, procurando nello stesso tempo i disegni prestampati dei pesci e di tutti i personaggi marini da colorare e applicare al fondale.

In questo modo è stato possibile coinvolgere un numero alquanto considerevole di ospiti, che a differenza di Giancarla, Luisa, Giuseppina e Annamaria, hanno minor confidenza con la tempera.

L’obiettivo era mantenere un progetto che fosse di tutti: ciascun ospite ha potuto partecipare al lavoro, perché sognare, immaginare e creare ciò che piace appartiene a ciascuna persona, è un desiderio e un diritto di ognuno di noi, a prescindere da dove può arrivare la performance.

Il successo di questo progetto, più che nelle dimensioni o nell’impatto emotivo dei colori e delle immagini dipinte, risiede in ogni attimo di soddisfazione vissuta in condivisione, nel rendere reale un desiderio immaginato, anche per chi è capace di usare un solo colore con pochi tratti essenziali, dentro una relazione che va oltre la stessa attività e i gesti del lavoro, e permette di “scorgere” la persona e “incontrala” per starle “accanto” così com’è nel suo essere prezioso e irripetibile.

Quando siamo insieme operatori e ospiti, dando vita a un qualcosa che desideriamo e condividiamo, si annullano le differenze e le distanze fra noi operatori, fra gli ospiti, e tra noi operatori e gli ospiti.

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