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Roma – Festa dei popoli “Costruiamo ponti non muri”

Roma – Festa dei popoli “Costruiamo ponti non muri”

“Costruiamo ponti non muri”
É questo lo slogan dell’edizione 2017 della “Festa dei Popoli” celebrata a Roma il 21 maggio scorso, a cui hanno preso parte migliaia di persone rappresentanti delle molteplici e variegate nazionalità e tradizioni religiose presenti a Roma. Era presente anche la Famiglia orionina: un numeroso gruppo del Tra Noi, diverse PSMC (compreso alcune capitolari) ed il consigliere provinciale per le Missioni, don Felice Bruno, come rappresentante dei Figli della Divina Provvidenza.
La giornata prevedeva alle 10 un forum di riflessione presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore sul tema: “Comunità migranti, Chiesa e Città di Roma: donne in dialogo per l’integrazione tra i popoli”.
“Integrare è farsi prossimo delle ferite umane, creare una casa comune in cui nessuno è straniero”. Sono queste le parole di suor Ana Paula Ferreira, una missionaria scalabriniana, la quale ha ricordato che “accogliere è superare preconcetti per imparare insieme la comunione voluta da Dio”. Accogliere è, richiamando un “concetto molto orionino”, “farsi migranti con i migranti, aiutandoli a superare le difficoltà legate soprattutto all’inserimento in un nuovo contesto”. La religiosa si è soffermata poi sul contributo che, come donne, si è chiamati a dare alla Chiesa: “La donna è educatrice e annunciatrice del Vangelo, perché nella donna vince sempre la vita, che ella ha il compito di difendere, accogliere e custodire”.
“Il dialogo è una forte vocazione della nostra epoca” – rileva una rappresentante della Fondazione Migrantes – mentre noi “siamo una cultura chiusa che non investe nel proprio patrimonio culturale e non fa figli”. Per questo motivo diventa vitale “favorire lo scambio di valori e tradizioni per costruire comunità etniche in relazione e integrate nel tessuto sociale locale, custodendo ‘il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni’, come ha ricordato Papa Francesco durante la sua visita pastorale in Egitto.
Alle 12.30 vi è stata la concelebrazione eucaristica presso la Basilica di San Giovanni in Laterano: una S. Messa multiculturale, molto bella. Diversi cori multietnici e altri delle diverse comunità nazionali (dal Congo alla Costa d’Avorio, dall’Ucraina al Brasile, dall’Eritrea al Bengala) si sono alternati ad animare la concelebrazione presieduta da mons. Paolo Lojudice, vescovo del Settore Sud di Roma, incaricato per la Pastorale dei Migrantes e concelebrata da circa un centinaio di sacerdoti di tantissime nazioni e riti liturgici (dal greco cattolico al copto, dal maronita al malabarese…).
Tutta particolare è stata la processione offertoriale nella quale i rappresentanti di ogni comunità nazionale, con i vestiti e le danze proprie, si sono recati all’altare presentando doni tipici del loro Paese.
Sono proprio vere le parole del canto dei Gen Verde: “è più bello insieme, un dono grande è l’altra gente…” È stata una celebrazione ricca di colori, di fede, di entusiasmo. Un bellissimo poliedro! È la bellezza della nostra Chiesa, cattolica, che non è monolitica, ma molteplice, ricca di tradizioni.
Durante l’omelia mons. Lojudice ha affermato: “La Chiesa è questo, siamo noi, che proveniamo da più esperienze, paesi e nazioni. La festa dei popoli è allora la festa della Chiesa, perché i popoli non sono altro che l’unico popolo di Dio, cioè la Chiesa”. E in riferimento alla pagina del vangelo, nella quale emerge la promessa di Gesù di non lasciarci orfani, egli ricorda che “nessuno sarà mai senza padre e lasciato a sé, ma ciascuno avrà sempre una comunità in dialogo, la Chiesa”. Per questo motivo bisogna “costruire ponti e non muri”. Infatti “costruire i muri ci fa dimenticare che ogni uomo è mio fratello, perché Dio è padre di tutti. È sull’accoglienza dell’altro che si misura la nostra dignità umana”.

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