skip to Main Content
Menù
Intervista a Mons. Andrea Gemma

Intervista a Mons. Andrea Gemma

Pubblichiamo l’intervista curata dal chierico, Fabian Pitreti, dell’Istituto Teologico, a seguito di una visita fatta dal Monsignore Gemma allo studentato di via Massimi 143, Roma.

 

Ha conosciuto Don Orione?
 
Fin da bambino – ne ringrazio il Signore – ho conosciuto Don Orione. Nel 1938, sono stato come alunno delle scuole elementari nell’Istituto San Filippo Neri, sulla via Appia Nuova a Roma, accanto alla parrocchia di Ognissanti, fondata da Don Orione stesso, dove, più tardi, sono stato parroco. Frequentando quella scuola ho imparato a conoscere Don Orione grazie a un sacerdote, il maestro di scuola, che era Don Giovanni Vanoli, un sacerdote di Don Orione che era allora semplicemente un chierico. Era studente di teologia e mi ha fatto scuola in terza elementare. In quarta c’è stato un altro sacerdote di Don Orione, don Mario Pannori, e insieme, sono stati per me dei testimoni del carisma orionino. Attraverso di loro io ho conosciuto Don Orione.

Quindi, attraverso questi due religiosi orionini lei è rimasto incantato di Don Orione, desiderando di diventare prete. Quanti anni aveva quando ha deciso di entrare nel seminario?

Ero piccolo. Avevo solamente 9 anni. Eravamo nel 1940. Io ho detto, d’accordo con mia madre, “Voglio farmi prete e voglio farmi prete di Don Orione”.  Infatti, quando ho chiesto a mia madre: “Allora posso andare a farmi prete da Don Orione”? Lei mi ha risposto, molto contenta: ” Ma sì … figlio mio, vai vai vai”. E così, ho chiesto e sono andato in seminario.
Per affrettare i tempi, mi hanno fatto saltare (ride) la quinta elementare e alla fine dell’estate ho dato l’esame di passaggio alla scuola media. Ottimo risultato, e nel 1940 io sono entrato come piccolo aspirante nel seminario che l’opera Don Orione aveva a Colle Giorgi, su in alto, a Velletri. E da quel momento sono entrato nella famiglia di Don Orione. Non sono più uscito e mi trovo molto contento.
 Diventato prete, poi, i superiori mi hanno mandato a studiare a Roma in preparazione al sacerdozio, cioè dal 1954 al 1957. Ho frequentato la Pontificia Università Lateranense e ho dato la licenza in teologia con l’allora bravissimo professore monsignor Antonio Piolanti. Mi ha dato 30 e lode e mi sono licenziato in Sacra Teologia.
Nel 1957 sono stato ordinato prete qui a Roma e subito dopo mi hanno mandato come assistente del seminario che allora era a Grotte di Castro (VT). Poi nel 1959 mi hanno mandato professore di greco e latino a Villa Moffa di Bandito di Bra (CN) dove la Congregazione aveva il noviziato e il liceo classico. Era l’anno 1959. Vi sono rimasto fino a che mi hanno nominato parroco di Ognissanti a Roma nel 1969. Poi il Papa Giovanni Paolo II mi ha voluto vescovo nel 1990. Sono stato ordinato da lui nel 1991 il 6 gennaio, ecco, quest’anno 2016, ho celebrato il venticinquesimo di episcopato, e adesso, aspettiamo l’ultima fase della vita, quella che vorrà il Signore.

Va bene Eccellenza. La ringrazio per questa sua biografia. Come ha detto, una gran parte del suo servizio presbiterale nella Congregazione lo ha svolto nelle case di formazione. Quindi le chiedo: come spiegherebbe lei ai seminaristi, a quelli che iniziano il cammino, o alle persone che sentono per la prima volta parlare di Don Orione, il carisma di questo grande santo del XX secolo? Come ha iniziato Don Orione la sua missione, la sua Congregazione?

 Don Orione è partito con i giovani poi è diventato il prete di tutti; dei più poveri. Io ho scritto ultimamente la biografia di Don Orione, in sei volumi, intitolata: Don Orione il prete degli ultimi, perché Don Orione una volta che ha capito il Cuore di Gesù ha detto “Io non mi chiudo a nessun genere di apostolato” e difatti nel primo capitolo delle Costituzioni – l’unico che egli ha scritto – c’è l’elenco delle opere a cui si sarebbero dovuti dedicare i figli della sua Congregazione: sono ben 54 opere. I figli di Don Orione, secondo il Fondatore si dedicheranno quindi a queste 54 opere. Però alla base, ciò che ha spinto Don Orione a dedicarsi all’apostolato della carità, è il desiderio di portare tutti a Cristo e al Vicario di Cristo. Questo è il carisma di Don Orione: portare tutti, specialmente gli ultimi, ai piedi, diciamo così, del Vicario di Cristo, della Santa Sede. Difatti, Don Orione l’ho ha detto mille volte: “Noi siamo per i poveri e per il Papa. Siamo per i poveri, perché i poveri amino Gesù Cristo e il suo Vicario il Papa”.

Alcuni, per riassumere, il carisma orionino lo nominano nel binomio: Papa e poveri. Cosa significa per un orionino andare incontro ai poveri?

Ecco, qui bisogna specificare. L’orionino, nella parola “poveri” non deve intendere solo una categoria di persone, ma tutte le categorie di poveri, specialmente le categorie più bisognose, sia materialmente che spiritualmente. Quindi, per esempio, la carità intellettuale, a cui io mi sono dedicato scrivendo circa 200 opere, è un’opera orionina di carità intellettuale, di andare incontro ai poveri in spirito e ai poveri nel corpo.  Insegnare, istruire la povera gente, le missioni popolari, tutte queste opere fanno parte del carisma di Don Orione.
Perché fanno parte di una carità “senza confini”, carità – per intenderci – come ci sta insegnando Papa Francesco, che comprende tutte le 14 opere di misericordia.
 
Infatti vediamo nella Congregazione delle scuole, dei “Piccoli Cottolengo”, delle case d’accoglienza, dei seminari, delle opere che aprono le porte per i migranti, per tutte le categorie di persone.  

Questo è il bello, è il significativo di Don Orione. Lui ha voluto qualcosa per tutti. Per tutte le categorie. E ha voluto anche le scuole. Purtroppo le due scuole che avevamo in Italia, a Tortona (AL) e a Novi Ligure (AL) ed anche la terza quella del San Filippo, dove ho fatto io le elementari, sono state chiuse. Questa è una brutta cosa.  

Si può indicare una gerarchia come importanza per quello che riguarda il carisma della Congregazione. Cioè, c’è un’opera importante su cui la Congregazione deve tenere lo sguardo e l’impegno?
 
L’apostolato tra i giovani. Quindi le scuole, gli orfanotrofi, i giovani senza nessuno, senza casa. Questo è il cuore del nostro apostolato. Infatti, quando è andato a raccogliere i bambini dopo il terremoto di Messina, Don Orione voleva raccogliere i giovani – lui li chiamava “sole o tempesta dell’avvenire”-  per portarli a Cristo e al suo vicario al Papa e alla Chiesa. (le due lineette siano uguali e staccate)

Nell’ambiente della Romania lei sa molto bene che i cattolici sono minoritari, la maggioranza è formata dalla Chiesa ortodossa e quindi sappiamo molto bene che Don Orione aveva molto a cuore questa realtà dell’ecumenismo. Come vescovo, come prete orionino, come religioso, come ha vissuto questa realtà del carisma orionino e come pensa che in questo momento la Congregazione potrebbe viverla?

Io nella mia diocesi dove sono stato 17 anni < a Isernia – Venafro (IS)> ho cominciato col curare molto le vocazioni sacerdotali. Sono arrivato in diocesi e ho pregato il Signore dicendogli: “Fammi capire se ti piace il mio apostolato episcopale e mandami molte vocazioni sacerdotali”. Quando sono entrato nella mia diocesi molte parrocchie erano scoperte, non avevano il prete. Quando ne sono uscito tutte le mie parrocchie erano coperte e alcuni avevano non solo un prete, il parroco, ma anche il prete viceparroco, il secondo prete. E quindi ho ringraziato il Signore.  
In questo modo il Signore mi ha dimostrato che nell’opera di Don Orione non ci sono soltanto le grandi case di carità quelle che Don Orione chiamava Piccoli Cottolengo ma ci sono le scuole, ci sono gli oratorii e ci sono gli orfanotrofi, ci sono i collegi e tutto quello che riguarda l’apostolato giovanile. Per esempio in Diocesi abbiamo creato quello che poi è diventata la Giornata Mondiale della Gioventù una specie di giornata della gioventù, prima ancora che la istituisse il Papa, radunando in un giorno tutti i giovani della Diocesi parlando loro di Gesù, non solo di Don Orione, prima di Gesù poi di Don Orione.

Lei ha fatto ancora una volta l’elenco delle opere delle attività principali della Congregazione, adesso la Chiesa parla molto, anche lo stesso Papa Francesco parla di “Chiesa in uscita”, parla di nuova evangelizzazione e nuove povertà. La Congregazione come risponde a questo imperativo?

Prima di tutto deve sentirsi mandata! Prima di tutto ai giovani, io parto sempre da lì, ai giovani per arrivare alle famiglie, per arrivare agli anziani, per arrivare ai più poveri. Don Orione ha detto: “Io mi interesserò non solamente dei giovani come fanno i Salesiani che si rivolgono solo ai giovani”. Difatti Don Orione è uscito dalla Congregazione Salesiana, alla vigilia di entrare in noviziato salesiano, lui è uscito, poi l’ha spiegato più tardi, perché il carisma salesiano è monocolore, cioè guarda solo ai giovani. Io non mi accontento di guardare solo i giovani; i giovani, gli adolescenti, gli adulti e la famiglia, e fino agli anziani, fino quasi ai più bisognosi di cure, di interessamento, come sono i poveri, come sono le famiglie disagiate, come sono gli emigrati, come sono i vecchi senza nessuno. Don Orione ha aperto le porte a tutti. Questo discorso della porta è quello che Papa Francesco ricorda sempre, aprire le porte a tutti! Per portare tutti a Cristo, per far sentire a tutti la tenerezza di Dio. Aprire le porte a tutti per portare tutti a Cristo al Vicario di Cristo, cioè al papà e alla Chiesa.

Ricordo che leggendo nel mio noviziato la sua biografia di Don Orione c’è stato un momento in cui il vescovo di Tortona tentò di far prendere alla Congregazione un altro indirizzo, quello delle “colonie agricole” preponendovi il primo vescovo della Congregazione Monsignor albera: i primi sacerdoti dell’Opera vi si opposero decisamente e seguirono Don Orione e il suo disegno che è quello poi approvato dalla Chiesa.

È una pagina molto, come dire, dolorosa e gloriosa di Don Orione. Il vescovo di Tortona pensava di togliere Don Orione dalla Congregazione e di dare la Congregazione in mano a quello che sarebbe diventato il primo vescovo della Congregazione, monsignor Paolo Albera. Ma, per fortuna nostra, Don Sterpi e lo stesso Paolo Albera, lo stesso Don Gaspare Goggi, dissero: “No… no… o siamo con Don Orione o ce ne torniamo in Diocesi”. La cosa rientrò. E quindi fu il motivo per cui il vescovo il giorno 3 del mese di luglio 1892, firmò la prima approvazione della Congregazione sotto la direzione di Don Orione. E secondo il suo disegno.
 
Infatti Don Orione parte nel viaggio per le Americhe nel 1934, per accogliere anche in quelle regioni i poveri e i bisognosi. Questo viaggio di Don Orione segnò per la Congregazione un amplissimo sviluppo. Anche ai giorni nostri siamo interpellati dai tanti profughi che si accalcano ai confini d’Europa. Il Papa parla molto di questo.
 
Tu parli di profughi. Io parlerei anche di vittime della droga: anche questa è una delle più pressanti forme di povertà spirituale. I Figli di Don Orione non dovrebbero ignorarla… Io ho sempre detto che questa è una specie di poveri che oggi bisognerebbe soccorrere; sono i poveri, i drogati e quindi dobbiamo aprire delle case, cosa che abbiamo fatto mi pare a Genova. Questa sarebbe una nuova povertà a cui la Congregazione dovrebbe interessarsi.

Ci avviciniamo anche al finale della nostra intervista.  Se può indicare tre parole chiave per i seminaristi, che lei, come formatore come professore e poi come vescovo orionino ritiene più importanti.

Riassumerei così: dobbiamo essere pazzi di amore per Cristo, prima caratteristica, pazzi di amore per Maria, pazzi di amore per la Chiesa e per il Papa. Il Papa è la sintesi della visibilità della Chiesa. Aggiungo una parentesi: tra le varie forme di povertà io ho pensato anche a quelli che sono vessati dal demonio. E allora ho scritto in un mio libro come figlio di Don Orione, sì, come monsignor Gemma figlio di Don Orione che era il prete di tutti gli ultimi: “Siccome gli ultimi tra gli ultimi sono quelli che sono posseduti dal demonio, era logico che monsignor Gemma si dedicasse al ministero dell’esorcismo; come ho fatto e come continuo a fare, finché il Signore nella sua bontà mi darà le forze e la buona volontà e l’aiuto dei miei fratelli”.

La ringrazio molto per la sua testimonianza, per il fatto che continua a portare l’esempio, la testimonianza di don Orione e che, speriamo, arriverà anche in Romania.
È infatti le testimonio che per la prima volta, quando ero piccolo nel seminario, quando ho sentito di monsignor Andrea Gemma, ho sentito parlare proprio di un grande esorcista. E quindi mi ha fatto grande onore quando ho sentito che c’è un vescovo così conosciuto, così famoso nella Congregazione, quindi le faccio i complimenti e gli auguri.

Cerca di seguire Don Orione fino in fondo e vedrai che il Signore ti aprirà diverse strade e ti farà sapere quello che vuole da te e il luogo in cui ti vuole adoperare ad esercitare il sacerdozio, il missionario, l’operatore di misericordia nella pastorale, nell’aiuto ai più poveri e ultimi, ai giovani, agli anziani, alle famiglie, a tutto quello dove ti chiamerà il Signore.

Adesso mi provoca per farle un’altra domanda. Andando pochi mesi fa al capitolo provinciale essendo stato invitato con qualche compagno del teologico, mi ricordo che si parlava molto del prete orionino che si trova in un istituto e tante volte si ritrova ad essere più amministratore economico che prete, che pastore. Cosa pensa a questo riguardo?

È una cosa da cui dobbiamo essere liberati, da cui essere salvaguardati. Non si può essere degli amministratori soprattutto delle cose materiali. Si deve fare anche quello perché dobbiamo mangiare, ma, oltre a quello dobbiamo coltivare la contemplazione, la preghiera, l’evangelizzazione, l’aiuto ai più poveri. Il Papa stamattina ha parlato di elemosina. Quindi quello che devono fare anche i nostri amministratori è largheggiare nelle elemosine, largheggiare nell’aiuto ai poveri. Io dicevo, ricordo un intervento che ho fatto ad un Capitolo Generale: noi, quando vogliamo esercitare la carità e lo spirito di Don Orione cominciamo a costruire grandi case, grandi istituti, tipo quello di Milano, tipo quello di Genova: i famosi Piccoli Cottolengo, e magari trascuriamo quel poveretto che sta a pochi metri dalla nostra casa e ha bisogno di tutto: di mangiare, di vestirsi, di un poco di soldi per comprarsi da mangiare, ecc. Dobbiamo curare tutta la gamma della carità partendo dalle piccole cose per arrivare anche alle cose più grandi.

Va bene. La ringrazio e chiedo magari un ultimo augurio per i seminaristi

Crescete nella convinzione che se il Signore vi ha messo in questa Piccola Opera vi ha fatto un grande dono; un grande regalo. Sappiatelo sfruttare! Con la benedizione di Dio, a cui sia gloria nei secoli dei secoli, Amen.

Back To Top