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Quando la disabilità diventa un punto di forza

Quando la disabilità diventa un punto di forza

“La peggiore malattia oggi e’ il non sentirsi desiderati ne’ amati, il sentirsi abbandonati.
Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore.
Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio.
Vi e’ fame d’amore, e vi e’ fame di Dio” Madre Teresa di Calcutta

Vogliamo pubblicare una testimonianza dei ragazzi del Servizio Civile Don Orione di Roma:

Le parole di Madre Teresa sintetizzano, in pochi versi, quelle che sono state le prime impressioni e le prime aspettative di noi ragazzi del Servizio Civile. Come tali, siamo chiamati ad aiutare il prossimo; siamo chiamati ad imparare e a metterci al servizio di chi ha bisogno del nostro aiuto. Non siamo supereroi e tantomeno dei ragazzi che vogliono sentirsi dire: “Che bravi ragazzi! Fanno tutto questo per aiutare i bisognosi. Sono veramente altruisti”. Il volontariato è prima di tutto una scelta, un modo come tanti per crescere, per imparare quelle cose che di certo non troverai scritte sui libri di scuola. Insomma, è un’esperienza di vita, un’esperienza speciale, una delle poche esperienze che in questa società, materialista e poco solidale, può essere vissuta in modo umano e caritatevole. La cosa bella del volontariato è sicuramente il fatto che in qualche modo si contribuisce alla realizzazione del diritto di una persona dalle diverse problematiche fisiche e psichiche ad avere una vita dignitosa, pari a quella di ogni individuo. Come? Non è difficile: si contribuisce con piccoli gesti, con dei sorrisi, con la semplice presenza o con piccolissime azioni. Niente di eccezionale, ma ciononostante la straordinarietà risiede nel fatto che quei piccoli gesti vengono apprezzati, condivisi, resi speciali. Noi ragazzi del Servizio Civile abbiamo trovato i ragazzi del Centro Don Orione aperti, con tanta voglia di fare; individui con tante storie toccanti, disposti a farsi aiutare (quando occorre). I ragazzi sono affettuosi … molto affettuosi. La nostra mascotte è un ragazzo sulla carrozzina di nome Manolo, che ogni mattina ci aspetta all’ingresso del Centro con trepidazione, quasi fossimo delle superstar hollywoodiane. Molti dei ragazzi, più che di qualche aiuto particolare, sono alla ricerca di essere capiti e di essere accettati per quel che sono. Vengono lì e – come Vittorio – ti danno un bacino; chi, invece, ti da semplicemente la mano perché ha solo bisogno di un contatto umano, di quel calore che possa fargli capire: “Ci sono io al tuo fianco. Non ti preoccupare”. Emanuele, per esempio, dopo averti toccato il naso prima con la mano destra e poi con la mano sinistra, ti abbraccia e non ti lascia più. Che strana cosa che è l’abbraccio!  Oggi come oggi, gli abbracci veri stanno diventando sempre più rari, se non addirittura banali. Eppure, è proprio in un abbraccio che si manifesta tutta la propria umanità, tutta la propria vitalità e tutta quell’energia positiva che possa trasmettere un po’ di pace e serenità a chi in quel momento si ritrova a vivere attimi di sconforto e di agonia. Emanuele viene e ti abbraccia senza esitazione e senza paura perché l’affetto e quel momento di condivisione lo pretende, lo vuole. Infondo è una cosa naturale. Invece noi, indaffarati, sempre presi da mille faccende burocratiche, ci dimentichiamo che oltre la scuola e il lavoro esistono cose banalmente bellissime come può essere un abbraccio, come possono essere l’amore o l’amicizia. Se imparassimo da Emanuele ad abbracciarci, invece di pretendere qualche sadica vendetta, metà delle problematiche che caratterizzano la nostra società potrebbero diventare semplice utopia. Il volontariato è anche scoperta. Sì, perché oltre alla perenne allegria dei ragazzi e al fatto che siano affettuosissimi, ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo.  Si scopre, per esempio, che il ruolo del volontario non è quello di assecondare una persona perché non è in grado di far qualcosa, ma al contrario di spronarla a superare i propri limiti, facendo sì che i propri difetti diventino punti di forza.  Il ruolo del volontario è quasi anticonformista perché deve essere un animatore di carità, una persona in grado di andar oltre il materialismo e i soliti punti di vista stereotipati. Molti ragazzi, nonostante i disturbi motori e l’ostacolo della carrozzina, hanno una forza esplosiva da permettere loro di superare la disabilità e ad andare oltre l’apparente limite fisico. Può sembrare sciocco, ma vedere un signore in carrozzina riuscire a preparare il caffè, è a dir poco straordinario. Sia chiaro: noi ragazzi del servizio civile ancora dobbiamo toccare terra e non perché tre di noi, domenica 11 ottobre, sono stati ad una regata con i ragazzi del Centro, ma perché come ogni inizio di ogni esperienza, c’è bisogno di adattarsi ad un posto nuovo. Ciononostante sembra già passata un’eternità! Sia tra noi ragazzi del Servizio Civile sia con i ragazzi del centro sta nascendo una certa complicità. Forse, perché, come si è soliti dire: “Non conta ciò che fai, ma come lo fai”. Il volontariato – come già detto prima- è una scelta, una scelta d’amore in cui – per l’appunto – non conta ciò che fai, ma tutta la passione, l’impegno e l’amore che si è in grado di mettere. Andando oltre la prima impressione, il Servizio Civile insegna ad apprezzare le piccole cose; il Servizio Civile ti apre gli occhi, facendoti capire di quanto si possa essere pigri perché oltre ai futili problemi di tutti i giorni, non si ha la costanza e la caparbietà di meditare su se stessi, sui propri pregi e sui propri difetti. Invece no: come questi ragazzi, che cercano di fare della propria disabilità un punto di forza, dobbiamo pretendere di lamentarci meno e cercare di migliorarci, soprattutto umanamente, imparando ad amare e ad apprezzare ogni singola cosa. I ragazzi, in una settimana, ci hanno già dato tanto, ma sicuramente: “Il bello deve ancora venire”!

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