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Kiev – Voglia di riaprire quel cancello…

Kiev – Voglia di riaprire quel cancello…

…il cancello dell’oratorio, di quel prato con le porte da calcio, i tavoli e le panche, la rete da pallavolo, quel campo pieno di bambini e risate fino a pochi mesi fa.

Don Moreno Cattelan la scorsa settimana è tornato a Kiev, per andare a vedere di persona la situazione alla missione orionina. Leggiamo il suo racconto:

“Arriviamo a Kiev con due ore di ritardo. C’è una certa emozione.

Rivederla dopo due mesi ancora intatta rallegra il cuore. La giornata è calda. Siamo all’ultimo vagone e quando arriviamo alle scalette che portano all’uscita c’è una lunga fila.

Ad ogni passeggero viene controllato il passaporto e viene chiesto dov’è diretto in città. Impieghiamo quasi un’ora prima di arrivare al bus che ci porta verso Novosilky. Ci sono molti soldati in giro per la stazione. Oggi (28 aprile NdR) è atteso il Segretario dell’ ONU. (Si sa che i capi politici o altre personalità arrivano a Kiev utilizzando il treno). Alcuni controllano, altri, da come sono equipaggiati, sembrano decisamente pronti per raggiungere le zone di battaglia.

Percepisci subito che a differenza di L’viv, qui la guerra ti tocca più da vicino. Percorriamo con il bus i 17 chilometri per arrivare a casa. Traffico ridotto all’osso. Grandi centri commerciali chiusi. C’è un primo posto di blocco lungo la strada nei pressi dello Stadio Olimpico. Ma non ci fermano. Altro blocco all’altezza del Centro Esposizioni. Rallentiamo ma possiamo proseguire. Poco prima di uscire dalla città notiamo un nuovo punto di controllo. Molto esteso; qualche centinaio di metri. Il nostro bus passa senza essere controllato a differenza delle vetture. C’è una lunga coda.

Scendiamo alla fermata. Anche i negozi del piccolo centro commerciale vicino alla fermata sono chiusi. Facciamo il mezzo chilometro che dista tra la fermata e casa nostra. Altro controllo per chi entra in città. Militari in assetto da guerra…l’impatto non è stato certo dei migliori. Per fortuna diamo una prima occhiata, al terreno, ai due box prefabbricati, ai pannelli solari. Tutto sembra normale. Tiriamo un sospiro di sollievo.

La nostra strada di accesso alla superstrada verso il cento Kiev è bloccata da sacchi di sabbia e blocchi di cemento. Bisogna fare il giro per il Novosilky o Chanaby. All’ingresso la portinaia ci saluta meravigliata e contenta, al tempo stesso, del nostro arrivo. Ci aggiorna su questi due mesi: “Molti hanno lasciato il palazzo. Si sono sentiti i bombardamenti delle prime settimane. Ma qui tutto è stato tranquillo. Gli allarmi si sentono in lontananza. Prima c’era una sirena che suonava anche all’interno del complesso ma poi è stata spenta perché il suono forte e così vicino spaventava i pochi bambini rimasti. Per loro è stato allestito una specie di rifugio nel seminterrato del terzo ingresso. Alcuni lo utilizzano, altri rimangono negli appartamenti. Qualcuno sta rientrando dopo essere fuggito due mesi fa…”.

Raggiungiamo l’appartamento. Tutto è in ordine, o meglio come l’abbiamo lasciato alla nostra partenza. Tania, anche lei rientrata dal paese ieri sera, ci invita a pranzo. Noi prepariamo una buona spaghettata, lei una gustosa anitra al forno! Con lei riprendiamo il discorso sulle attività da intraprendere, ora alla luce di quanto accaduto, non appena potremo tutti tornare alla normalità.

Facciamo un giro di ispezione del territorio. Tutto è rimasto come lasciato due mesi fa. Al posto della neve sta crescendo l’erba! Vedendo il cancello aperto alcuni ragazzini si avvicinano: “Possiamo entrare a giocare?”. Come no! “Ma quando tornate?”. “Presto”. “Noi qui veniamo tutti i giorni a giocare anche se voi non ci siete. Possiamo?”. “Certo”.

Vorremmo fermarci ma è già ora di rientrate per celebrare la Santa Messa, cenare e prepararci per tornare a L’viv. Mentre celebriamo partono gli allarmi bombardamento. Le sirene si sentono in lontananza. Il pericolo bombardamento dura da quasi un’ora e mezza. Stiamo per uscire quando don Egidio, appena sentito poco prima per aggiornarlo sulla situazione trovata, ci richiama per avvisare che c’è stato un bombardamento su Kiev. Guardiamo dalla finestra che dà verso la città e notiamo una scia di fumo. Ci sembra la zona della stazione. Non essendoci durante l’allarme i bus funzionanti chiamiamo un taxi. Sono quasi le 21.00. In 15 minuti arriva alla stazione. Per strada non c’è nessuno. La città è vuota.

Arrivano le prime notizie del bombardamento su alcuni edifici civili situati nella zona non lontana da dove poco prima s’era tenuta la conferenza stampa a seguito delle visita del segretario dell’ ONU. Bombardamento che viene letto come un chiaro segnale: “ Vi possiamo colpire quando vogliamo e dove vogliamo!”. La stazione è completamente al buio solo alcune luci delle insegne indicatrici sono illuminate. All’esterno sosta un gruppo di giovani soldati. Anche loro, come quelli incontrati in mattinata in assetto di guerra. Sembrano allegri. Salutano chiassosi l’arrivo di qualche altro commilitone.

All’ingresso della stazione c’è il controllo dei passaporti e bagagli. Raggiungiamo il binario 3, nelle penombra. Esibiamo, come da prassi, passaporto e biglietto al capo vagone e saliamo. Dopo poco inizia il viaggio di ritorno verso L’viv. Abbiamo nel cuore e nella mente un solo desiderio. Quanto prima ritornare per aprire nuovamente il cancello del nostro piccolo centro.

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