skip to Main Content
Menù
Chiesa – Abitare una nuova stagione economico-sociale

Chiesa – Abitare una nuova stagione economico-sociale

I Vescovi italiani hanno scritto un messaggio in occasione del 1° Maggio, festa di San Giuseppe Lavoratore e Festa del Lavoro. Il messaggio è intitolato “«E al popolo stava a cuore il lavoro» (Ne 3,38). Abitare una nuova stagione economico-sociale”.

Nel testo si sottolinea che l’emergenza coronavirus ha messo più in difficoltà disoccupati, inattivi e lavoratori irregolari, “coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento”, e che quando il blocco dei licenziamenti verrà meno la situazione diventerà realmente drammatica.

Ma la pandemia ci ha anche fatto sperimentare che siamo tutti legati ed interdipendenti: da qui l’invito a impegnarci per il bene comune, ricordando le parole pronunciate dal Papa nell’omelia di Pentecoste dello scorso anno, il 31 maggio, “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”.

Di seguito il testo completo del messaggio:

Il libro di Neemia, nella Bibbia, racconta l’impegno del popolo d’Israele intento a ricostruire le mura di Gerusalemme. Al lavoro generativo della gente, però, si oppongono le derisioni e le critiche dei popoli nemici: «Che vogliono fare questi miserabili Giudei?» […] «Edifichino pure! Se una volpe vi salta sopra, farà crollare il loro muro di pietra!» (Ne 3,34-35). Neemia, invece, ricorda l’unità e la caparbietà del popolo nel portare a termine l’opera intrapresa, commentando che «al popolo stava a cuore il lavoro» (Ne 3,38). Il brano biblico presenta la forte opposizione tra chi sta a guardare criticando e chi invece mette tutto l’impegno possibile perché nasca qualcosa di nuovo. È la contrapposizione tra il lavoro parlato e il lavoro realizzato concretamente, tra modelli vecchi di lavoro e nuove opportunità che si affacciano. In un contesto molto diverso, oggi scopriamo l’importanza della generatività, che si fonda sull’«amore pieno di verità» (CV 79). Il generare richiede la responsabilità e la capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore, unica realtà in grado di rendere la vita piena e feconda. Ciò comporta un conflitto tra il vecchio che resiste e il nuovo che s’impone con la sua forza di cambiamento. A chi affronta questa dinamica è richiesto di abitare una sana tensione tra la paura di perdere quello che si era, o si deteneva come certezza nell’agire, e un rinnovato impegno verso nuovi stili di vita. D’altronde chi ha incontrato il Signore Gesù, chi lo ha sperimentato come Signore della propria vita, «è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).

La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico. Nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà. Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità. Una seconda categoria di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari. L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria. Un terzo gruppo è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento. Sono gli ultimi, in particolare, ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare. Va anche considerato il fatto che il Governo ha bloccato i licenziamenti, ma quando il blocco verrà tolto la situazione diventerà realmente drammatica.

Un piccolo segno di speranza è la forte ripresa delle attività sociali ed economiche nell’estate 2020. Ha dimostrato come, appena il giogo della pandemia si allenterà, la voglia di ripartire dovrebbe generare una forte ripresa e vitalità della nostra società contribuendo ad alleviare i gravi problemi vissuti durante l’emergenza. È fondamentale, pertanto, che tutte le reti di protezione siano attivate. Il «vaccino sociale» della pandemia, infatti, è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili. Un aspetto fondamentale di questo tempo per i credenti è la gratitudine di aver incontrato il Vangelo della vita, l’annuncio del Salvatore. La pandemia, infatti, ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed interdipendenti. Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune: esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale.

«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» ci ha avvertiti papa Francesco. I periodi di prova sono anche momenti preziosi che ci insegnano molto. La crisi ci ha spinto a scoprire e percorrere sentieri inediti nelle politiche economiche. Viviamo una maggiore integrazione tra Paesi europei grazie alla solidarietà tra stati nazionali e all’adozione di strategie di finanziamento comuni più orientate all’importanza della spesa pubblica in materia di istruzione e sanità. L’insostenibilità dei ritmi di lavoro, l’inconciliabilità della vita professionale ed economica con quella personale, affettiva e famigliare, i costi psicologici e spirituali di una competizione che si basa sull’unico principio della performance, vanno contrastati nella prospettiva della generatività sociale. L’esercitazione forzata di lavoro a distanza a cui siamo stati costretti ci ha fatto esplorare possibilità di conciliazione tra tempo del lavoro e tempo delle relazioni e degli affetti che prima non conoscevamo. Da questa terribile prova sta nascendo una nuova era nella quale impareremo a diventare «imprenditori del nostro tempo» e più capaci di ripartirlo in modo armonico tra esigenze di lavoro, di formazione, di cura delle relazioni e della vita spirituale e di tempo libero. Se le relazioni faccia a faccia in presenza restano quelle più ricche e privilegiate, abbiamo compreso che in molte circostanze nei rapporti di lavoro è possibile risparmiare tempi di spostamento mantenendo o persino aumentando la nostra operosità e combinandola con la cura di relazioni e affetti.

Come Chiesa italiana abbiamo due bussole da seguire nel cammino pastorale e nel servizio al mondo del lavoro. La prima è costituita dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti: la fraternità illumina anche i luoghi di lavoro, che sono esperienze di comunità e di condivisione. In tempo di crisi la fraternità è tanto più necessaria perché si trasforma in solidarietà con chi rischia di rimanere fuori dalla società. «Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze» (FT 162). Per questo, il mondo del lavoro dopo la pandemia ha bisogno di trovare strade di conversione e riconversione, anche per superare la questione della produzione di armi. Conversione alla transizione ecologica e riconversione alla centralità dell’uomo, che spesso rischia di essere considerato come numero e non come volto nella sua unicità. Ci inseriamo nella seconda bussola che è il cammino verso la Settimana Sociale di Taranto (21-24 ottobre 2021) sul tema del rapporto tra l’ambiente e il lavoro. Lo ricorda molto bene l’Instrumentum laboris che afferma: «La conversione che ci è chiesta è quella di passare dalla centralità della produzione – dove l’essere umano pretende di dominare la realtà – a quella della generazione – dove ciò che facciamo non può mai essere slegato dal legame con ciò e con chi ci circonda, oltre che con le future generazioni» (n. 25).

Il 1° maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, che Papa Francesco ha voluto celebrare con un anno a lui dedicato, ci spinga a vivere questa difficile fase senza disimpegno e senza rassegnazione. Abitiamo i nostri territori diocesani con le loro potenzialità di innovazione ma anche nelle ferite che emergono e che si rendono visibili sui volti di molte famiglie e persone. Sappiamo che ogni novità va abitata con una capacità generativa e creativa frutto dello Spirito di Dio. Nulla ci distolga dall’attenzione verso i lavoratori. Parafrasando un celebre brano di Gaudium et spes, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo del lavoro, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono i sentimenti dei discepoli di Cristo Signore. Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se «tutto è connesso» (LS 117), lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore.

La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

Back To Top