skip to Main Content
Menù
Da Paolo VI a Papa Francesco, la Chiesa per gli ultimi

Da Paolo VI a Papa Francesco, la Chiesa per gli ultimi

Nel 1971, il Pakistan è sconvolto da una terribile guerra civile. In autunno, la situazione richia di diventare una catastrofe umanitaria; Papa Paolo VI decide di lanciare un appello alla coscienza del mondo. L’Osservatore Romano riporta il testo, che a distanza di più di quarant’anni risualta ancora drammaticamente attuale. Lo riproponiamo come eco alle parole di Papa Francesco, che continuano a interpellare le coscienze e richiamare la Chiesa, comunità di uomini e donne, alla solidarietà, alla fraternità, alla Carità di Cristo.

 

“Noi vi dobbiamo ancora una volta parlare delle sofferenze altrui, confidando nella vostra comprensione e nella vostra generosità. Il nostro ministero ci obbliga a diventare interpreti di bisogni immensi, che non lasciano tranquilla la coscienza a cui arriva la loro voce; è voce di lamento, gemito d’implorazione.

È quella dei Profughi. Profughi e popolazioni del Pakistan orientali; sono milioni di esseri umani in condizioni di estrema necessità. Disgrazie su disgrazie si sono rovesciate su quella poverissima gente. Le notizie non mancano, e ci danno cifre spaventose, e ci dicono la sproporzione sconfortante fra l’enormità dei malanni e l’inadeguata misura dei soccorsi. Occorre svegliare il senso di umanità del mondo, ci hanno detto, per salvare la vita a innumerevoli esseri umani sull’orlo della morte. Le opere pubbliche e private anche le nostre, sono all’opera; ma come possono impedire le conseguenze di calamità superiori ai loro mezzi? Non sembra esagerato attendere che il mondo s’impietosisca, e mandi gli aiuti indispensabili: viveri, indumenti, medicine, denaro. E perfino persone volonterose che si mettano disposizione dell’avventura pietosa e coraggiosa del samaritano evangelico.

Vengono le vertigini al pensiero che anche in altri Paesi della terra, vicini e lontani, si trovano in analoghe condizioni, sebbene non così gravi come quelle segnalate.

Vogliamo dedicare questo mese al soccorso dei Profughi e delle vittime delle disgrazie collettive nel mondo? Come si fa? Noi pensiamo che le iniziative benefiche già operanti in vari luoghi e in varie forme ce lo diranno. Noi ora diciamo che il bisogno è così grande da creare una questione di giustizia; e che la carità deve, almeno in qualche misura, risolvere, secondo il suo metodo, con sacrificio e con prontezza. Noi lanciamo questo grido doloso sperando e pregando.”

Per il testo completo dell’articolo clicca qui Osservatore Romano, 18 agosto 2015

Back To Top