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Intervista a un Santo

Intervista a un Santo

Cosa direbbe oggi Don Orione ad un giovane carico di domande? Leggiamo questa intervista possibile, scritta e meditata da un giovane di oggi, Francesco Volpe Junior, a cui San Luigi Orione ha ancora tanto da dire e da insegnare.

Settantacinque anni fa, e per la precisione il 12 marzo 1940, si spegneva a Sanremo l’Apostolo della Carità, don Orione, padre fondatore della Piccola opera della Divina Provvidenza. Undici anni fa, il 16 maggio 2004, san Giovanni Paolo II canonizzava questa nota figura che in 68 anni di vita ha compiuto opere straordinarie in tutto il mondo. Se non fosse stato per l’assidua preghiera e per il suo impegno costante, oggi, molto probabilmente, non parleremmo di Lui e della sua nota Congregazione. Gli insegnamenti dello stratega della carità sono tantissimi, ma soprattutto sono di un’attualità disarmante. Leggendo le sue lettere e tenendo conto delle informazioni reperite da don Giuseppe Valiante, ho immaginato una sorta d’intervista con questa illustre personalità. A 75 anni dalla sua morte, don Orione lo ricordiamo così:

Don Orione, prima di tutto volevo ringraziarla per la sua disponibilità. Lei è conosciuto come un grande sociologo, un uomo sempre pronto ad osservare la società nei suoi continui mutamenti. Ecco, proprio a riguardo, sappiamo tutti che la società di oggi non è più quella di un tempo. Oggi si parla costantemente di crisi (di valori, economica…), di secolarizzazione, di razzismo, di immigrazione, di crisi generazionale e di tant’altro. La gran parte delle persone si è allontanata dalla Chiesa, ma soprattutto da Dio. Eppure, grazie al così detto “progresso scientifico–tecnologico”, il welfare state e il “benessere socio-economico” dovrebbero regnare sovrani. Perché, quindi, secondo il suo punto di vista, il mondo è tanto sconvolto?
Perché il mondo è tanto sconvolto? Perché è tanto infelice e va precipitando nelle barberie? Perché non vive Dio: vive l’egoismo e non vive la carità di Gesù Cristo. Vedi, coloro che sono nati sulla stessa terra, che parlano la stessa lingua, che hanno lo stesso sangue, che provengono dalle stesse famiglie, coloro che dovrebbero amarsi, aiutarsi, confortarsi si dividono, si odiano, si massacrano barbaramente. Triste verità! Tristissima realtà sotto i nostri occhi.

Perché tutto questo?
Perché manca la carità. La carità farebbe del mondo un paradiso, ma senza la carità gli uomini diventano peggio dei pagani e vanno trasformando la terra in quell’aiuola insanguinata di cui già parlava Dante: “L’aiuola che ci fa tanto feroci”.

La Santa Scrittura dice:<<Il goloso sarà sempre povero. Chi ama il vino e i buoni bocconi non farà mai roba>>. Proprio a riguardo, pensavo ad un tema attualissimo: “Lo spreco alimentare”. Sicuramente Lei saprà che questo tema sarà affrontato anche all’Expo di Milano 2015 e che dal 2010, la Commissione europea, valendosi dello spin–off di Bologna, Last Minute Market, o dei Banchi Alimentari ONLUS, sta cercando di arginare il problema.
Un tempo ero solito dire: “La nostra Congregazione si farà grande e farà gran bene, finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e  nel bere”. Caro figliuolo, voglio parlarti chiaro: la poca voglia di lavorare, il poco spirito di umiltà e di sacrificio, la poca temperanza, anzi l’intemperanza nel bere vino e nel mangiare, cioè il vizio della gola sono i grandi nemici che dovete combattere se volete che Gesù Cristo viva in voi e vi benedica. Ricordatevi che siete sempre i poveri, gli umili, gli straccioni della Divina Provvidenza. Ormai, si ama la povertà solo a parole. Sì al voto di povertà, ma diventa più importante che non manchi niente e che si possa fare una vita comoda e tranquilla. Povertà, invece, vuol dire sacrificio e anche economia: povertà vuol dire farsi scrupolo nel non sprecare nulla. Un grano, anche un solo grano di frumento perduto sarà sulla vostra coscienza e ne dovrete rendere conto a Dio! Mia madre mise a me, che ero il 4° figlio, i vestiti del mio primo fratello che ha tredici anni più di me. La povera donna, quei vestiti, li aveva fatti passare a tre altri prima di me; tutti gli stracci li sapeva combinare e la famiglia trionfava nella povertà onesta e discreta.

Ha perfettamente ragione. Come scrive in una sua lettera: “Tutte le cose che sono da signori, le comodità da signori non sono da figli della Divina Provvidenza e disdicono a noi”.
Esatto. Ormai, vedo che non si ama la povertà, quando è un miracolo della Divina Provvidenza che ciascuno abbia a tavola pane e minestra per saziarsi; eppure, anche avendo di più, per bontà del Signore, vi sono di quelli che mai son contenti, perché non curano lo spirito di mortificazione. Per grazia di Dio, io ho ricevuto alla morte di don Egidio Chiodi, una veste e me la sono portata addosso in America; poi me la sono portata addosso ritornando dall’America; l’ho sempre portata addosso e la porto tutt’ora. Mi avevano fatto una veste nuova, ma l’ho lasciata in America così che la spolverino. Noi della Divina Provvidenza dobbiamo prendere volentieri la roba dei morti e già usata da altri.

La prossima domanda è inerente al sistema scolastico italiano. Come lei ben sa, oggi in Italia si investe poco sull’istruzione e sulla formazione delle nuove generazioni. La più parte degli studenti non crede più nella scuola perché non infonde “sapere”. Ormai è diventata una semplice prassi burocratica. Nel suo immaginario, quali caratteristiche dovrebbe avere il sistema scolastico?
La scuola deve essere amata e deve farsi amare dagli alunni, anzi chi insegna dovrà farla amare così che essa diventi la “casa sacra del sapere”. Gli alunni non devono quasi avere altro pensiero, altro desiderio che di trovarsi con i loro maestri e nella loro scuola. Per rendere meno faticoso lo studio, il maestro dopo aver studiato lui ed essersi ben preparato per conto proprio, studierà quasi insieme con la scolaresca. La scuola deve essere una famiglia, una famiglia morale ben disciplinata e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura. Ogni tanto, vogliate far vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore, elevandovi poi fino a Dio: così si educa!

Don Orione, oggi si parla spesso di: “Gioventù bruciata”. La maggior parte dei ragazzi non ha più dei principi, dei valori, ma soprattutto non ha degli obiettivi. Le famiglie, essendo cambiate rispetto al passato, non rappresentano più un punto di riferimento stabile. Cosa bisognerebbe fare?
I ragazzi bisogna studiarli, osservarli, meditarli.  Bisogna educare i giovani alle gioie, ma anche al dolore: la vita è seminata di lacrime! Anche in ogni gioia vi è sempre una vena di dolore. Quando tocca loro un dolore, fatene ricercare subito la cagione e, come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa ben spesso, per diretto o per indiretto, è nostra. Ma i dolori più profondi fanno le gioie più alte e l’umana società è congegnata in modo che sempre dal male esce un bene più grande. Fate sì che i giovani capiscano di progredire tutti i giorni, in tutti i sensi; che ogni giorno sentano di saperne un po’ di più della vita e di essere diventati migliori moralmente, civilmente e cristianamente. Più essi avanzano in sapere e in virtù, più cresce il vostro e il loro merito.

Passiamo ad un altro argomento: “La malattia”. Il più delle volte, la malattia viene vista come un qualcosa di negativo, ma la religione cattolica ci insegna a non screditarla e a valutarla come una prova del Signore. Qual è, quindi, il suo pensiero a riguardo?
Gli incomodi di salute e le malattie sono un regalo del Signore. Iddio nelle malattie vuole farci toccare con mano che noi nulla siamo e nulla possiamo, ma che Egli fa tutto. Quello che mi fa tanto pena sono alcuni che, appena hanno male ad un dito, sono come morti e altri che si lasciano prendere dalla fissazione di essere sempre malati; questi, don Bosco li chiamava i “salutisti” e la loro malattia l’hanno nel cervello. Bisogna pregare Dio che ci dia pazienza, ma che li tocchi anche un po’ davvero nella pelle per convertirli nel cuore, dando loro più spirito religioso.

Attualmente si parla molto di disoccupazione. Tanti sono i giovani che non hanno un’occupazione, ma tanti sono anche coloro i quali fingono di cercare un impiego, per poi lamentarsi che le cose non vanno per il meglio.
Figliol mio, meglio cominciare a distinguere i fattori dai lavoratori. Fattori sono quelli che fuggono volentieri la fatica: che fanno i padroni senza esserli, che spendono anche quando si può fare economia e non vanno tanto per il sottile, perché pensano che poi il padrone pagherà. I fattori – in generale- sono di poca coscienza e il vangelo parla male di loro; ma parla bene dei lavoratori, anche di quelli che si misero di buona volontà benché fosse un po’ tardi. Essi furono pagati come i primi, perché ci misero poi tanto più di buona volontà e così sarà di te, o mio caro, se ti metterai di buona volontà e caccerai lontana da te quella brutta accidia e mala voglia di mettere giù l’osso della schiena e di disciplinare il tuo corpo col lavoro, con la fatica e con l’umiltà.

Attualmente sembra di essere ritornati indietro nel tempo, quando la scienza e il progresso tecnologico venivano considerati più importanti della fede e della spiritualità. L’uomo brama di conoscenza, di scoprire e di “dominare” il creato. Insomma, l’uomo vuole essere il Dio di se stesso. S. Paolo Apostolo stesso afferma che la scienza è luce di Dio ed è necessaria ai Ministri di Dio. Qual è, quindi, la sua concezione di “scienza”?
San Paolo Apostolo non parla di certo della scienza umana, che invaghisce e gonfia; tantomeno di quella cultura letteraria e scientifica che non vale nulla, perché non è accompagnata dalla virtù e non eleva lo spirito a Dio. San Paolo Apostolo parla di quel sapere che è diretto alla santificazione propria e alla altrui necessità. Io non vorrei che alcuni di voi dormissero il sonno dell’anima, non vorrei che vivessero quel languore e torpore di spirito che, al dir di Dante: “Poco è più morte”. Quando si pensa, o miei cari, a quello che gli uomini fanno per un po’ di quella gloria vana che il mondo promette, ai rischi che affrontano per una ventata di umana vanità o per far progredire di qualche passo di più qualche ramo della scienza, non ci sentiamo noi umiliati di fare così poco per Iddio e per le anime? Siamo troppo ignavi nel bene. Non c’è forse da vergognarci?

Passiamo ai mezzi di comunicazione di massa. Come lei ben sa, oggigiorno, grazie ad internet, ai social network e alle piattaforme digitali, reperire informazioni è diventato semplicissimo, ma capirne l’autenticità rappresenta ancora un problema. Lei sarà sicuramente d’accordo nel ritenere l’informazione un’arma vincente per plasmare l’opinione pubblica. Mi vien da pensare che nel 1940, alla congregazione orionina fu affidato il servizio dei Telefoni e successivamente delle Poste vaticane.
Un tempo c’era la stampa cartacea, ora internet e le nuove piattaforme multimediali. La stampa è stata e continua ad essere una grande forza: è il grande oratore che parla di giorno, che parla di notte, che parla nelle città e parla nelle borgate, fin sui monti e nelle valli dimenticate. Dove non arriva la stampa? Non è la stampa che crea l’opinione pubblica, che trascina alla pace e alla guerra? Oh, quanto male ha fatto la cattiva stampa! Ma quanto bene fa la stampa quando è in buone mani, quando è posta a servizio di Dio, della Chiesa, della Patria! Poteva la nostra Congregazione disinteressarsi di una tal forza? Non siamo noi obbligati a valercene? Il piccolo ufficio stampa della congregazione, nato nel 1939, non era che un modesto sgabuzzino: un povero tavolo, due panche, carta, penna e calamaio; in alto alla parete un crocifisso, un quadro della Madonna, un don Bosco, alcuni libri: la Bibbia, Dante e Manzoni; un ufficio stampa pro populo da me sognato per tanti anni – nato per i piccoli, per gli umili, per la massa di contadini, degli operai, l’opera della buona stampa per i lavoratori a salvezza del popolo.

Don Orione, il rapporto che lei ha con la Madonna è un qualcosa di straordinario. Negli ultimi tempi mi sono stati raccontati alcuni episodi davvero sorprendenti da don Giuseppe Valiante e da Monsignor Gemma. Nonostante i suoi racconti siano l’emblema vivente che la Divina Provvidenza non ha mai abbandonato nessuno, la più parte delle persone ha ancora il timore di pregare e di aprire il proprio cuore a Dio…
<<Scusa se ti interrompo. Voglio raccontarti un noto episodio. Un anno ci siamo trovati a dover pagare alla Banca Popolare di Tortona oltre venticinquemila lire per i debiti che avevamo, specialmente con il panettiere. All’epoca non esistevano l’euro e di certo la Comunità europea. Vi era allora direttore un certo avvocato Piolti, che mi aveva imprestato le venticinquemila lire. Avevo pagato gli interessi finché avevo potuto. Quell’avvocato mi mandò a dire che mi voleva tanto bene, ma che non poteva lasciare la cambiale in sofferenza. Dovevo pagare le venticinquemila lire entro sabato, altrimenti il protesto sarebbe andato in vigore il lunedì successivo. Io mi raccomandai al Signore; quando capii, però, che il Signore non mi ascoltava mi raccomandai alla Madonna. Prega e prega… ma anche la Madonna faceva la sorda.

Alla fine trovò una soluzione?
Sì, mi venne un’idea. Mia madre aveva degli orecchini da sposa; orecchini, si sa, da povera donna, tanto povera che oltre gli orecchini, quando poi morì, non mi lasciò altro che un cassone con della biancheria usata, di quella tela ruvida che un tempo usavano i nostri avi. Pensai, dunque, di prendere gli orecchini e di appenderli alle orecchie della Madonnina della Divina Provvidenza che abbiamo a Tortona. Salii sull’altare e, non ridere, bucai le orecchie alla Madonna: “Ora ci sentirà, perbacco!”.  Macché! Venne, dunque il lunedì, ed io mi aspettavo che, da un momento all’altro, sarebbe arrivato l’impiegato della Banca per il sequestro di tutti i nostri stracci. Entrai in cappella e mi raccomandai al Signore, alla Madonna e alle anime sante del purgatorio. Improvvisamente, entrò una donna e mi disse: <<Don Orione, non ha per caso una stanza da darmi? Perché ho qui dentro alle calzette venticinquemila lire e mi devo levare le calze per tirarle fuori. Ho venduto la “Trattoria della Colomba” e ho preso altri soldi e li ho portati qui a lei>>. La donna andò in una stanza, si tolse le calze e poi venne per darmi le venticinquemila lire. Quando vidi quella grazia di Dio, mi prese un nodo alla gola e mi misi a singhiozzare per la commozione.  Ti ho voluto raccontare questa storia per farti capire che Gesù e la Madonna non hanno mai abbandonato nessuno. Tutti, stringiamoci a Maria Santissima e saremo salvi! Essa sola basterà a farci trionfare di ogni tentazione, di ogni nemico, a farci superare tutte le difficoltà, a vincere ogni più acre battaglia per il bene delle nostre anime e per il trionfo della Chiesa di Gesù Cristo.

Un ultima domanda: quali sono i consigli che vuole dare alle nuove generazioni?
Voi, o cari miei figli, avete bisogno di pregare di più, di fare meglio le pratiche di pietà e di coltivare di più lo spirito di pietà, di umiltà e di sacrificio. Lo dico in ginocchio e vi supplico di non offendervi: la prima carità dobbiamo farla a noi stessi. Preghiera, lavoro e temperanza sono tre perle preziosissime che devono risplendere sulla fronte e nella vita di ogni figlio della Divina Provvidenza. Non abbiate paura di sottomettervi perché si fa più profitto con un grano di umiltà che con una montagna di superbia. Bisogna faticare sempre. Gesù Cristo e tutti i santi hanno lavorato e san Paolo dice che chi non lavora non deve mangiare a meno che non sia malato o in età di non poter lavorare. Noi dobbiamo essere grandi lavoratori.  Anzi, noi dobbiamo essere i facchini di Dio. Quando in una casa s’incomincia ad introdurre l’ozio o la poca voglia di lavorare, quella casa è rovinata. Il lavoro sarà il grande rimedio contro la concupiscenza e un’arma potente contro le insidie del diavolo e le tentazioni del mondo della carne.

Don Orione, grazie ancora per la sua disponibilità e per i suoi preziosissimi insegnamenti.
Con tutta l’effusione del mio povero cuore, vi abbraccio in osculo sancto e vi stringo con me alla Croce di Gesù. Benedica e santifichi il Signore le anime nostre con benedizione celeste!

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