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Giovanni Luigi Orione nasce a Pontecurone, un paese nella pianura alessandrina, tra Tortona e Voghera, il 23 giugno 1872.  È il quarto figlio, dopo Benedetto (1859), Luigi (1864) e Alberto (1868), di papà Vittorio e mamma Carolina Feltri: tutti lo chiameranno Luigi, come vuole l’usanza a quel tempo di prendere il nome del fratello, morto a poco più di un anno di età. Carolina è una donna forte, inizia a lavorare a quindici anni per aiutare la madre vedova a crescere le sorelle minori: conosce così Vittorio Orione, soldato, che entra nell’osteria di Pontecurone, dove fa la cameriera. Le cinque dita impresse sulla guancia, dopo qualche apprezzamento di troppo, restano fissate nella memoria di Vittorio: dopo otto anni da quell’episodio, torna a cercare Carolina e si fidanzano. Si sposano l’11 febbraio del 1858, mentre, nei Pirenei a Lourdes, la giovane Bernadette Soubirous vede nella grotta di Massabielle una “bellissima signora”.

Il piccolo Luigi impara dall’esempio della mamma la contemplazione della presenza di Dio nella vita dell’uomo, la devozione per la Madonna, l’amore per una povertà onesta e dignitosa, che non impedisce alla famiglia Orione, tra le più povere del paese, di fare la carità a qualche viandante bisognoso di qualcosa da mangiare o da vestire. Vittorio fa il selciatore di strade, è un uomo dallo spirito pratico, con idee garibaldine e non molto avvezzo a frequentare la Chiesa; Luigi lo accompagna d’estate nei lavori che svolge nel Monferrato e lo aiuta nel duro lavoro di lastricare le strade e le piazze. Dal padre, Luigi apprende il senso del lavoro e del sacrificio, affina la sua sensibilità sui temi della giustizia sociale e dell’esclusione, impara a tenere i piedi ben piantati per terra.

Tra scuola, Chiesa e amicizie, Luigi manifesta precocemente una spiccata intelligenza, la capacità di coinvolgere e guidare i compagni, un desiderio profondo di donarsi a Dio e nella sua innocenza di fanciullo, affida a Maria questo desiderio, pregando ai piedi delle rovine del Santuario della Fogliata di Casalnoceto, con la promessa di ricostruire quelle rovine, una volta diventato sacerdote: compirà poi quella promessa nel 1907.

Don Orione predica al Santuario della Fogliata di Casalnoceto (AL) nel 1907

Dopo qualche tempo di attesa, arriva per Luigi il momento di iniziare il suo cammino: il 4 settembre 1885, pieno di emozione e di speranze, viene accolto dai Francescani di Voghera, poiché la famiglia non ha i mezzi per pagare gli studi in Seminario. Le parole sgarbate di un frate stridono con le aspettative del giovane, ma Luigi si impegna e non si lascia scoraggiare. Nell’aprile dell’anno seguente, si ammala gravemente di polmonite, la sera del Giovedì Santo è in fin di vita ed i frati fanno chiamare i genitori da Pontecurone. Luigi quella notte fa un sogno: sogna “una schiera di giovani preti tutti con la cotta bianchissima, un candore di neve”. Il sogno dà pace al suo cuore e lo aiuta a sopportare il dolore di essere dimesso dal Convento nel giugno del 1886, per la sua salute ritenuta troppo cagionevole.

Il viceparroco di Pontecurone, don Francesco Milanese, che conosce bene Luigi e non dubita dell’autenticità della sua vocazione, il 4 ottobre del 1886 lo accompagna all’oratorio di Valdocco, a Torino, fondato e retto da San Giovanni Bosco. Giovanni Bosco è ormai anziano e malato, ma il suo spirito continua ad animare e sostenere i suoi ragazzi, che guardano a lui come esempio e modello di santità sacerdotale. Luigi inizialmente ha come guida spirituale don Michele Rua, che sarà primo successore di Don Bosco, e poi, come per un dono della Provvidenza, ottiene il privilegio di confessarsi proprio dal Fondatore.  Don Bosco imprime un sigillo indelebile sul loro rapporto, dicendogli “Ricorda! Noi saremo sempre amici!”. Il 17 dicembre 1887, assieme agli alunni della 5a ginnasio, Luigi si confessa per l’ultima volta da Don Bosco.

Luigi Orione studente a Valdocco

Nel 1888 la vita di Don Bosco è giunta alla sua fine terrena: il 31 gennaio muore e alla notizia folle di fedeli accorrono a pregare ai piedi alle spoglie del Santo. Anche Luigi, insieme ad altri giovani chierici, si adopera per regolare il flusso dei fedeli e ad un tratto ha un’idea: pensa di affettare del pane e di porre le fettine sul corpo di don Bosco, per poi distribuirle per gli ammalati che sono rimasti a casa. Entrato nel refettorio, prende un affilato coltello e si accinge ad affettare un filone di pane. Dalla fretta, vibrando il primo colpo, si spacca verticalmente l’indice della mano destra, poiché è mancino. Luigi per qualche istante è pieno di angoscia: a quei tempi, chi aveva menomazioni alle mani non poteva diventare sacerdote. Ma l’angoscia svanisce presto: avvolge nel fazzoletto il dito tagliato, corre presso la salma di don Bosco e accosta il dito sanguinante alla sua mano. A quel contatto la ferita si rimargina all’istante. A distanza di molti anni, Don Orione racconta il fatto prodigioso, mostrando la cicatrice ancora visibile sull’indice della mano destra.

Da Don Bosco, Luigi impara l’amore incondizionato per i giovani, la fiducia nella Provvidenza di Dio vissuta dai primi salesiani in modo eroico. Nella sua esperienza torinese, incontra anche l’Opera di San Giuseppe Benedetto Cottolengo a favore delle persone disabili: ecco le radici dei grandi amori di Don Orione, i giovani nella prima parte della sua vita, i disabili dal 1930 fino alla sua morte.

Dopo tre anni a Valdocco, Luigi, alla viglia del suo ingresso al noviziato, non è più sereno: sente che quello non è il suo posto. E’ il 15 agosto 1889, don Orione ricorda: «Se c’era uno sicuro, in fatto di vocazione salesiana, ero sempre stato io!… Volli consultare Don Bosco, la cui tomba era in mezzo al giardino sottostante, l’ultima notte (degli Esercizi spirituali di quell’agosto) restai a piangere e pregare sulla tomba del Padre amato». Sogna Don Bosco, sorridente e sereno, che gli porge la veste da chierico diocesano.

Luigi rasserenato rientra a Pontecurone e nel suo cuore pensa di proseguire gli studi nel Seminario, se si compiranno i tre segni che chiede al Signore: essere accettato senza presentare domanda, avere la veste senza farsi prendere le misure, ottenere la conversione del padre. I primi due si compiono miracolosamente e anche per il terzo ci sono segni incoraggianti: è proprio papà Vittorio a riportare Luigi a Pontecurone da Nizza Monferrato, dopo aver ricevuto la lettera di conferma della sua accettazione al Seminario diocesano. Qualcosa, o forse meglio Qualcuno, ha fatto breccia nella rude scorza del selciatore Vittorio Orione.

Luigi, a 17 anni, entra così in Seminario a Tortona, per iniziare il corso di studi in filosofia. Il 16 ottobre avviene la prima vestizione nella cappella del Seminario. Lo accoglie il Rettore don Ambrogio Daffra, figura che rimarrà legata per sempre a Don Orione, con queste parole: “diciamo tre Ave Maria: che la Madonna abbia a prenderti per mano, come ho fatto io conducendoti fin qui, dinanzi alla Madonna. Fin qui, fino all’altare, ti ho condotto io; adesso lascia prenderti per le mani dalla Madonna: ti metto nelle mani della Madonna, e tu sta attaccato alle mani della Madonna.”

Luigi Orione seminarista nel 1890

La vita al Seminario di Tortona è molto diversa dall’atmosfera allegra e serena di Valdocco. Orione si distingue per impegno e devozione, attira molti compagni con la sua simpatia e vivacità, mentre altri iniziano a prenderlo in giro per alcune sue stranezze: quando raccoglie il pane da terra ridono e approfittano per fargli stupidi scherzi. Sono mesi duri, di studio, di nostalgia, di sopportazione, ma dopo quasi un anno, nel maggio 1890, Luigi scrive: “Gesù ha vinto e trionfa sul mio cuore. Oggi, 21 maggio, ho abbandonato il mondo per seguirlo ovunque Egli vada”.  Gli studi proseguono, dopo i primi due anni di filosofia, iniziano gli studi di teologia: papà Vittorio è gravemente malato, la famiglia non riesce a contribuire alle spese degli studi di Luigi. I superiori decidono di aiutarlo, affidandogli l’incarico di custode nella Cattedrale: il suo servizio inizia il 1° dicembre 1891, con una paga di 12 lire e la possibilità di abitare in una stanzetta sul voltone. Così le giornate del giovane chierico sono scandite dallo studio, dal servizio ai Canonici e dalla preghiera, tanta preghiera: spesso passa anche l’intera notte affacciato alla finestrella che, dal voltone, si apre verso l’altare dove è custodita l’Eucarestia.

Un giorno, Luigi incontra Mario Ivaldi, un ragazzo troppo vivace per stare nell’aula di catechismo con gli altri suoi compagni: Luigi lo consola, lo ascolta, gli fa un po’ di catechismo e lo invita a ritornare, magari con qualche amico. Inizia così un via vai allegro e chiassoso sui voltoni del Duomo, criticato dai Canonici e dai benpensanti di Tortona, apprezzato dal Vescovo Monsignor Igino Bandi, sensibile alle questioni sociali tanto da scrivere nelle sue lettere pastorali che serve “un clero fuori dalla sacrestia per salvare la famiglia e la società”: è proprio Monsignor Bandi a concedere il cortile dell’Episcopio al chierico Orione, per aprire il primo oratorio della città, dedicato a san Luigi Gonzaga e inaugurato solennemente il 3 luglio 1892.

La scritta visibile ancor oggi nella cameretta di Don Orione nel sottotetto della Cattedrale di Tortona

L’esperienza dell’oratorio dura solo pochi mesi, il Vescovo chiede a Orione di chiudere l’oratorio in ottobre: quando tutto sembra perduto, ecco spuntare un germe di speranza, destinato a portare nuovi frutti. Luigi appende le chiavi dell’oratorio ad una statua della Madonna, in un gesto di affidamento totale e incondizionato: guardando il cortile vuoto dell’episcopio dalla finestra della sua stanza, sul voltone, si addormenta e sogna. Sogna la Madonna sopra l’olmo del cortile, che lo guarda con uno sguardo pieno di amore e consolazione: con il suo manto azzurro, i cui confini si perdono all’orizzonte, avvolge una moltitudine di giovani di ogni razza, di ogni nazione, che cantano e ballano, e poi chierici, suore, sacerdoti. La Madonna dal manto azzurro gli indica qual è l’orizzonte a cui è chiamato: Luigi ha di nuovo il cuore in pace.

Dopo aver toccato da vicino il bisogno di molti giovani poveri di essere aiutati negli studi, per poter coltivare la vocazione, Luigi pensa di aprire per loro un collegio, che chiama Piccola Casa della Divina Provvidenza: il 15 settembre del 1893, festa dell’Addolorata, ne parla con il Vescovo, che gli dà la sua approvazione e benedizione. Un suo ragazzo dell’Oratorio gli segnala che lo zio, il signor Stassano, ha una casa da affittare, nel rione periferico di San Bernardino: cifra richiesta per un anno, 400 lire. Orione lo incontra e si stabilisce un accordo, da onorare entro otto giorni con il pagamento dell’affitto. Dove trovare i soldi? Luigi sta ancora pensando a come risolvere la questione, quando incontra sul ponte del torrente Ossona, che segna il confine tra la città e la periferia, la signora Angiolina Poggi. Come molti a Tortona, anche lei conosce lo zelo del chierico Orione e, appresa la notizia dell’imminente apertura di un collegio, chiede di poterci mandare il nipote: gli affida tutti i suoi risparmi per fargli fare il ginnasio, 400 lire. La Divina Provvidenza ha pagato il conto. Ma i detrattori dell’intraprendente chierico hanno alimentato le preoccupazioni del Vescovo, paventando debiti da pagare per la Diocesi, che già stava sostenendo ingenti costi per la costruzione di un nuovo Seminario. Monsignor Bandi richiama Orione con l’intenzione di togliere la sua approvazione, ma dopo aver ascoltato che non solo ha trovato il locale, ma anche pagato l’affitto per un anno, rinnova approvazione e benedizione: il collegio apre il 15 ottobre 1893, Luigi Orione ha 21 anni.

Nella casetta di San Bernardino si prega e si studia con fervore e vivacità, si vive una povertà dignitosa e sempre sostenuta dalla Provvidenza, che non fa mai mancare un piatto di minestra per i ragazzi: ma gli spazi non bastano più ad accogliere studenti e lezioni e si deve cercare una nuova sede. Orione ottiene in affitto dal Comune il Santa Chiara, sulla via Emilia, già sede di un convento di Clarisse e poi di una caserma, per dieci anni, dal 1894 al 1904. Dal 1895 arriva ad aiutare Orione nella gestione del collegio un altro seminarista, Carlo Sterpi, di due anni più giovane, che da tempo desiderava unirsi al compagno nel servizio ai poveri.

Il 13 aprile del 1895, sabato santo, Luigi Orione diventa sacerdote: viene ordinato dal Vescovo nella cappella dell’Episcopio e chiede a Dio “che tutti quelli che, in qualsiasi modo, avessero avuto a trattare con me si fossero salvati”. Il giorno seguente, Pasqua di Resurrezione, don Luigi Orione celebra la sua prima Messa in mezzo ai suoi ragazzi nella cappella del Collegio Santa Chiara e poi va a celebrare un’altra messa con i detenuti del carcere di Tortona.

Don Orione il 13 aprile 1895 con lo zio Carlin e il cugino Emilio

Sono anni di lavoro febbrile: le predicazioni nei diversi paesi attorno a Tortona e nella Diocesi, le ispezioni nel Collegio, l’apertura di nuove colonie agricole a Mornico Losana (Pavia) ed a Noto (Siracusa), il noviziato a Sanremo voluto da Monsignor Daffra, la nascita degli Eremiti della Divina Provvidenza e la scelta della loro sede all’Eremo di Sant’Alberto a Butrio (Pavia).

Il 10 gennaio del 1902 don Orione è ricevuto da papa Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, il papa che con grande illuminazione spinge i cattolici all’impegno nella vita sociale: in udienza personale gli presenta la prima Regola del suo Istituto. Mentre il Santo Padre benedice l’opera di Don Orione, durante il 1903 si vivono momenti difficili nei rapporti con il Vescovo Monsignor Bandi, che è intenzionato a restringere le attività alle sole colonie agricole e richiama i chierici che aiutavano al Santa Chiara in seminario. Don Orione è fedele al Vescovo, ama la Chiesa ed è obbediente ai suoi rappresentanti, è pronto ad accettare la dolorosa decisione, ma la Provvidenza ha altri piani ed il 21 marzo il Vescovo firma il decreto di approvazione diocesana della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Dice di essa don Orione: “è un’umile Congregazione religiosa, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza.” Il 6 settembre Don Gaspare Goggi è ordinato sacerdote ed emette nelle mani di Don Orione la sua professione perpetua: è il primo Figlio della Divina Provvidenza.

Don Gaspare Goggi ai tempi degli studi universitari: conosce Don Orione nel 1892 frequentando l’Oratorio San Luigi. Muore prematuramente nel 1908, a 31 anni

Nel 1904 don Orione è ricevuto in udienza privata dal Papa Pio X, che era stato in precedenza Patriarca di Venezia: in quel memorabile primo incontro tra due santi, il papa mostra a don Orione un’infuocata lettera che egli aveva scritto al Patriarca riferita alle condizioni dell’amico Monsignor Lorenzo Perosi, Direttore della Cappella Marciana. Nasce un profondo sodalizio tra i due, una reciproca gara di santità.

Nello stesso anno scade il contratto di affitto decennale con il Comune di Tortona per il Santa Chiara: lo stabile deve essere abbattuto per far posto a nuovi edifici ed ai portici Frascaroli. Don Orione inizia una lunga trattativa con la Diocesi per l’acquisto della Casa Oblatizia, ormai inutilizzata: di nascosto, entra nel cortile e seppellisce tra due tegole una statuetta della Madonna. Il 14 giugno 1905 compra per 25.000 lire la casa Oblatizia che da quel momento in poi viene chiamata Convitto Paterno. Ancora una volta i benefattori, la signora Zurletti e don Zanalda, sono il tramite della Provvidenza.

Don Orione nel cortile del Paterno tra i probandi, nel 1929

La presa di possesso della nuova casa è resa solenne dalla processione che porta nella cappellina la Madonna della Divina Provvidenza, una statua lignea che originariamente rappresenta l’Addolorata e che i ragazzi hanno voluto liberare dalla spada, aggiungendo un cuore d’argento contenente i loro nomi.

La Madonna della Divina Provvidenza, nella nicchia della Cappella del Paterno

Don Orione è sempre vulcanico nelle sue iniziative: porta un treno di 24 vagoni in pellegrinaggio alla Madonna della Guardia di Genova, riceve da Pio X l’incarico di evangelizzare la “Patagonia romana”, il quartiere Appio fuori Porta San Giovanni a Roma, apre nuove colonie e oratori.

Nel 1908, nel bel mezzo di tanti progetti da completare, un evento catastrofico di dimensioni mai viste porta don Orione in Calabria e Sicilia: il 28 dicembre la terra trema, il terremoto ed il successivo maremoto distruggono le città di Reggio Calabria e Messina. Ottenuto il consenso del Vescovo di Cassano allo Ionio, La Fontaine, Don Orione parte il 4 gennaio del 1909 e raggiunge Reggio il 9.

Don Orione a Cassano Jonio con Monsignor La Fontaine e un gruppo di orfani nel 1909

È instancabile nel soccorso e nella ricerca di poveri orfani rimasti soli, ma anche estremamente lucido nelle scelte pratiche: comincia a lavorare per il Patronato Regina Elena, presieduto dalla contessa Spalletti, e con quello del Vaticano, presieduto dal mons. Cottafavi, collaborando con altre figure eroiche in quelle drammatiche circostanze, il canonico Annibale di Francia, canonizzato con Don Orione il 16 maggio 2004 da Giovanni Paolo II, ed il gesuita Mistretta. Per le sue doti organizzative, oggi diremmo manageriali, Don Orione viene nominato Vicario Generale della Diocesi di Messina ed il fatto scatena invidie e gelosie nel clero locale. Coloro che hanno interesse a lucrare sulla tragedia sono disposti a tutto pur di denigrarlo e screditarlo: durante una rasatura dal barbiere, viene infettato e ciò causa una reazione cutanea al viso, tipica delle malattie veneree. La croce che ha portato a Messina giunge al termine il 7 febbraio 1912: ricevuto un telegramma dal Vaticano, Don Orione rassegna le dimissioni e torna a Tortona.

La sua azione spazia da nord a sud, dall’Italia al mondo, fonda scuole, oratori, parrocchie, case per persone sole e malate, non si limita ad uno specifico ambito ma accoglie ogni occasione per salvare le anime e “instaurare omnia in Christo”: la frase di San Paolo (lettera agli Efesini 1,10) illustra come Dio ha un disegno sull’umanità intera, “nel grande disegno della creazione e della storia, Cristo si leva come centro dell’intero cammino del mondo” (Benedetto XVI, udienza del 5 dicembre 2012). Don Orione non è un filantropo, è un sacerdote che ama profondamente l’umanità ed è disposto a fare qualunque cosa per salvarla, per mettere Cristo a capo di tutto.

Il cuore senza confini di Don Orione il 17 dicembre 1913 realizza il suo slancio missionario: partono da Genova i primi missionari orionini, diretti in Argentina.

Don Orione e i primi missionari: il signor Giulio, Don De Paoli (partirà nel 1914), Don Dondero, Fratel Germanò

Un altro evento terribile richiama Don Orione lontano da Tortona e dai suoi ragazzi: il 13 gennaio del 1915 la terra trema ancora, nella Piana del Fucino il terremoto semina morte e distruzione. Avezzano e gli altri paesi della Marsica sono solo rovine e lamenti: si contano decine di migliaia di morti. Ancora una volta Don Orione parte, con l’intento di raccogliere nelle sue case gli orfani. La testimonianza dell’immensa opera di carità svolta da Don Orione in quei luoghi viene da uno scrittore, Ignazio Silone, che è stato testimone oculare del suo operato e ha trasmesso un mirabile ritratto di un “prete piuttosto strano”, descritto in un racconto della sua raccolta “Uscita di sicurezza”: lo raffigura sporco e malandato mentre quasi requisisce con la forza la macchina del Re, per portare gli orfani a Roma.

Don Orione nel marzo 195 a Roma con gli orfani accompagna in visita Mons. Bagnoli, Vescovo di Avezzano

Nel 1915 Don Orione pianta un altro seme destinato a far crescere una grande pianta: il 29 giugno la contessina Giuseppina Valdettaro e Caterina Volpini sono il primo nucleo delle Piccole Suore Missionarie della Carità, il ramo femminile della congregazione.  Nascono, con loro, le prime opere di carità per anziani e disabili, la nuova via che la Provvidenza mostra a Don Orione per rinnovare la società in Cristo.

Animato da questo ardente zelo, Don Orione nel 1918 si fa promotore di un voto popolare tra le donne del quartiere San Bernardino di Tortona: il 29 agosto promette alla Madonna della Guardia, venerata in una piccola cappella del rione, di costruirle un santuario se farà finire la guerra e tornare sani e salvi gli uomini. Il 4 novembre la guerra finisce e il 23 ottobre del 1926 avviene la posa della prima pietra di quel Santuario che, ancora oggi, con la sua statua dorata che domina il panorama, è un punto di riferimento per migliaia di fedeli.

Don Orione predica davanti al Santuario della Madonna della Guardia di Tortona, agosto 1939

Don Orione ha quasi cinquant’anni, ha dedicato la prima parte della sua vita alla gioventù, seguendo le orme dell’amico e maestro San Giovanni Bosco; ora, nel pieno della maturità, il suo cuore abbraccia gli ultimi, i più poveri tra i poveri, i malati rifiutati dagli ospedali, le persone abbandonate, i disabili fisici e mentali, gli emarginati. Il 4 agosto del 1921 parte per il suo primo viaggio missionario, destinazione Brasile, Argentina, Uruguay: rientra in Italia il 4 luglio dell’anno seguente, dopo aver aperto case per i “desamparados”, coloro che non hanno un amparo, una difesa, un posto sicuro dove sentirsi a casa.

Don Orione missionario

Anche in Italia sorgono, dunque, dei luoghi che possano essere amparo, cioè casa, per chi un rifugio non ce l’ha: il 19 marzo del 1924 apre a Genova Marassi il Piccolo Cottolengo, un’opera di carità per i poveri più poveri, aperta grazie alla generosità dei numerosi benefattori genovesi, il cui animo è stato conquistato dalla carica di amore per l’umanità più sofferente di Don Orione.

La Piccola Opera della Divina Provvidenza è a una svolta: dalle azioni verso i giovani e vicine al carisma salesiano, si passa ad azioni affini all’opera di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, frutto di una iniziativa originale e del tutto orionina di  carità, sia per il numero delle Case, sia per la scelta di tenere sempre la porta del Cottolengo aperta “a qualunque specie di miseria morale o materiale”. “La porta del Piccolo Cottolengo non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma soltanto se abbia un dolore”.

Scrive Don Orione in una lettera da Buenos Aires del 13 aprile del 1935: “Al Piccolo Cottolengo si vive allegramente: si prega, si lavora, nella misura consentita dalle forze: si ama Dio, si amano e si servono i poveri. Negli abbandonati si vede e si serve Cristo, in santa letizia. Chi più felice di noi?

Le opere di carità sono diventate l’impegno più urgente per Don Orione. Nel 1933 apre due “fari di fede e civiltà”: il 13 marzo versa la prima rata per l’acquisto dell’Istituto Paverano, destinato a diventare la nuova sede del Piccolo Cottolengo genovese, il 4 novembre, nella cascina Restocco, incomincia a vivere il Piccolo Cottolengo Milanese.

Il 24 agosto del 1934, a bordo della nave Conte Grande, parte da Genova per raggiungere nuovamente il Sud America, dove resta tre anni: per non far sentire troppo la sua lontananza incide nel 1935 un messaggio su un disco fonografico, intitolato “Il canto della Carità”, che ci permette ancora oggi di sentire la sua viva voce.

Don Orione a bordo della nave Conte Grande

L’intenso lavoro di evangelizzazione, i chilometri percorsi per raggiungere ogni bisogno, l’impegno per portare in ogni angolo la misericordia di Dio, per dare una casa ai più emarginati lasciano un segno sulla salute di Don Orione.

Al suo rientro ha molti benefattori da incontrare, il martedì si reca a Milano ed il giovedì a Genova, ha progetti da consolidare e da avviare: ma il suo cuore, che tanto ha donato in questi anni, è malato. Nel marzo del 1939, a 67 anni, ha un primo attacco di angina pectoris. I medici prescrivono riposo e cure, ma è difficile frenare le sue attività. All’inizio di febbraio del 1940 ha un grave infarto e stavolta non può ignorare le prescrizioni dei medici e la preoccupazione dei suoi collaboratori. Per favorire il recupero e preservarlo da troppi sforzi, gli consigliano di recarsi a Sanremo per un periodo di convalescenza. Don Orione prende tempo, ma alla fine il 9 marzo del 1940 parte per la località ligure.

Don Orione, visibilmente provato, pranza il 6 marzo del 1940 nel refettorio del Paterno

La sera prima della partenza, come consuetudine appresa da Don Bosco, dà ai suoi ragazzi un’ultima, toccante buonanotte: “Ora mi vogliono mandare a San Remo, perché pensano che là, quelle aure, quel clima, quel sole, quel riposo possano portare qualche giovamento a quel poco di vita che può essere ancora in me. Però non è tra le palme che io voglio vivere! E, se potessi esprimere un desiderio, direi che non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo!”.

Alle 22.45 del 12 marzo Don Orione conclude la sua vita terrena mormorando “Gesù! Gesù! Vado…”.

 

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