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Solennità dell’Ascensione di Gesù

Solennità dell’Ascensione di Gesù

Di questo evento parlano tre testi: gli Atti degli Apostoli, il Vangelo di Matteo e quello di Luca. La liturgia di oggi ci propone il brano di Matteo, che conclude il suo vangelo.

A Matteo interessa mostrare ai lettori le conseguenze che dalla resurrezione derivano per la fede della Chiesa.

Al vedere Gesù gli undici discepoli si prostano, verbo tipico dell’adorazione, ma alcuni dubitano. E’ la fotografia della Chiesa di ogni tempo. Possiamo essere sempre undici, quando il maestro può essere tradito in mille modi, possiamo sperimentare la bellezza delle fede, ma attraversare anche notti oscure.

“Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sè un non credente e un credente – scriveva il Cardinal Martini nel 1987 – che si parlano e si interrogano a vicenda, si rimandano reciprocamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta in credente che è in me e viceversa”.

La domanda che ci deve inquietare è “cosa facciamo del dono ricevuto?”. Il dono che abbiamo ricevuto è il Vangelo, è Gesù stesso, un dono da vivere, testimoniare e annunciare.

Noi cristiano abbiamo il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, come chi condivide una gioia e indica un’orizzonte bello, invita a un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselistismo, ma per attrazione, come già disse papa Benedetto XVI.

“Andate e annunciate il Vangelo”: questo è il mandato di Gesù per il discepolo di ogni tempo. Il discepolo non si dovraà preoccupare del successo, ma di rimanere fedele al maestro, che non dovrà preoccuparsi di sconfitte o incomprensioni, perché GEsù ci ha detto che sarà ceon noi ogni giorno, fino alla fine dei tempi.

E così si conclude il vangelo di Matteo, come era cominciata, secondo l’inclusio semitica: l’Emmanuele, il Dio con noi, cammina sempre accanto ai suoi discepoli.

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