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Testimoni del presente – Cammin facendo

Testimoni del presente – Cammin facendo

Non è facile ascoltare. L’ascoltare richiede coraggio.

Coraggio perché dopo che hai ascoltato non puoi più fare finta di nulla.

Perché ascoltare è già mettersi in gioco, è farsi toccare, e trasformarsi.

Per me questo è successo anche con Dio.Lui mi parlava, ed io facevo resistenza, sentivo qualcosa, ma non ascoltavo davvero, non del tutto, non subito.

Eppure solo ascoltandoLo rispondiamo al progetto che Lui ha per ognuno di noi.

Era il 1992 quando sentii che Lui mi voleva con sé. Ad un campo scuola in cui avremmo dovuto essere in 25 ragazzi ci trovammo in 5, con due sacerdoti e due cuoche. Quella settimana, così intima, fu intensa e non solo perché mangiammo divinamente. Avevo 12 anni quell’anno, ed anche se amo ricordarlo come il momento in cui la mia vocazione si svelò, devo ammettere che iniziai ad avvicinarmi a Dio, ma mantenendo le distanze di sicurezza.

Poi, sette anni dopo, terminate le superiori, realizzai il mio sogno di andare in Africa, in Costa d’Avorio, proprio nelle missioni di Don Orione. Partii per cambiare l’Africa ed invece fu l’Africa a cambiarmi.

Dopo una sola settimana mi ritrovai a letto per tre giorni, con la febbre a più di quaranta. Mi curavano per la malaria e intanto vomitavo anche l’anima. In quei giorni pensai di non poter più vedere gli amici, i parenti e la mia terra e pregai il Signore perché mi assistesse e non mi facesse morire, evitando un dispiacere a tutti coloro che avevo lasciato… Guarito, il viaggio proseguì. Amavo entrare in contatto con quei bambini e con quella gioia di cui erano portatori. Ma da qualcosa stavo ancora fuggendo…Per un mese interò mi riuscì di non parlare da solo con il sacerdote che ci accompagnava.

Ma al momento dei preparativi per il rientro, mi cercò lui, mi prese in disparte e mi chiese se avessi mai pensato al seminario.

Era nello stesso tempo ciò che desideravo sentirmi dire e quello che temevo di più. Con gioia e timore che si mescolavano nel mio cuore, gli assicurai che ne avremmo riparlato con più calma..

Passò l’intera estate e poi Dio mi riparlò, lo fece con un film su Madre Teresa di Calcutta. Lo vidi una domenica sera e sentii di non poter più far finta di nulla.  Attesi una settimana e poi lo dissi a tutti. Volevo rispondere a quella chiamata: diventare sacerdote.

Ne ero certo?

La certezza che pretendevo non l’ho avuta, e forse no l’avrò mai. Ma con il Signore bisogna avere il coraggio di fidarsi. San Giovanni Paolo II amava ricordarci che “Lui si fida di noi, noi dobbiamo fidarci di Lui”.

Ho pensato spesso alla mia vocazione come a quella di Pietro: Come lui dicevo “Signore abbiamo pescato tutta la notte” … come lui ho avuto la forza e la grazia di aggiungere quella straordinaria parolina di due lettere: “ma”. “Ma sulla tua parola getterò le reti”. Con il Signore è così, devi buttare le reti anche se non ci vedi chiaro, nella nebbia; Lui allunga la mano e ti afferra come ha fatto con Pietro che stava per affondare.

Lo ha fatto e lo fa ancora ogni giorno con me.

Il Vangelo ci insegna che i discepoli ricordano esattamente ogni particolare del giorno della chiamata, così è stato per me e per ogni chiamato. È qualcosa di assolutamente stupendo, bisogna solamente sapersi mettere in ascolto, aprire il proprio cuore e lasciarsi guidare dal suo passo e dalla sua affettuosa parola.

“Seguendo il Signore non ci perdi niente, ma è tutto di guadagnato”.

Anche la famiglia non è abbandonata…ma semmai “allargata”, e dire che la mia era già abbastanza larga, dato che sono il quarto di nove fratelli

E gli amici non sono persi ma custoditi e.…moltiplicati.

E a proposito di famiglia, di amici e di fratelli, anche per ascoltare loro abbiamo bisogno di coraggio. Ma prima di ascoltare gli altri ci serve il coraggio di ascoltare noi stessi.  Se non ci riconosciamo ed accogliamo come fragili, non accoglieremo l’altro nella sua fragilità.  Come diceva San Paolo “quando sono debole, è allora che sono forte”

Se l’aver frequentato l’Istituto per formatori mi ha aiutato nel crescere nella dimensione dell’ascolto, di me stesso in primis e poi degli altri, è da Don Orione che ho imparato che si ascolta anche con gli occhi, con il cuore e con le mani.

Stando nei problemi, mettendosi a fianco della persona che soffre, senza sfuggire e senza giudicare.

Siamo tutti in questo cammino di ascolto. Ascolto di Dio, di noi stessi e degli altri. Un ascolto che ci fa riconciliare con il nostro passato, liberandoci dai condizionamenti per vivere con consapevolezza il nostro presente e fare spazio alla grazia per essere davvero strumento nelle mani di Dio.

L’ascolto è proprio questo: fare spazio, lasciare spazio. Perché tutto si chiarirà e risolverà cammin facendo, ma serve fidarsi ed affidarsi.

Lo dico a me, lo dico a tutti: Buon Cammino!

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